Broker
Le diversificate esigenze dei mercati e dei rami dell’industria delle assicurazioni, da un lato, e l’esigenza per gli stessi utenti di avvalersi dell’opera di esperti intermediari, non vincolati necessariamente all’impresa assicuratrice da un rapporto di collaborazione qualificata, dall’altro, hanno dato luogo all’affermarsi di nuovi fenomeni di intermediazione nella distribuzione dei prodotti assicurativi.
A fianco della tradizionale figura dell’ agente di assicurazione si è così progressivamente collocata la figura del broker.
Il suo intervento, contraddistinto da un notevole grado di autonomia, si è ben presto rivelato di sicuro interesse non solo per la stessa impresa assicuratrice, che può così beneficiare dei vantaggi connessi ad un’ulteriore forma di collaborazione nella distribuzione dei propri servizi, ma anche per gli assicurandi, che possono godere, in questo modo, delle migliori condizioni offerte dal mercato nazionale ed internazionale delle assicurazioni.
L’acquisizione, da parte del broker, di un suo preciso ruolo e di un’identità ben precisi vieppiù riconosciuto dalle varie componenti assicurative del nostro paese ha peraltro reso sempre più ricorrente, soprattutto in dottrina, la domanda circa la loro qualificazione giuridica.
Interrogativo, questo, che prende spunto dalla singolarità del fenomeno – in quanto il rapporto di brokeraggio deve essere qualificato come un rapporto contrattuale atipico nel senso che manca, nell’ordinamento italiano, dell’omologo tipo astratto – e, soprattutto, dalle diverse modalità attraverso le quali esso si svolge nella pratica.
Difatti, come è stato osservato in dottrina, il broker, al di là dell’ipotesi marginale e del tutto insignificante da un punto di vista statistico in cui svolge la sola funzione di mettere in relazione l’assicurando con un’impresa assicuratrice al fine di stipulare un contratto di assicurazione, nella maggioranza dei casi, in armonia con quella che è anche la tradizione del fenomeno quale ci deriva dalla prassi straniera, offre ai propri clienti, oltre ad una semplice attività mediatizia, ulteriori differenziati servizi.
Di frequente egli assume infatti la veste di fiduciario del cliente e cioè di chi, su incarico di colui che intende garantirsi contro taluni particolari rischi, provvede non solo a ricercare la compagnia assicuratrice che si rivela più idonea al caso e disposta a concludere il contratto alle condizioni richieste dall’assicurando ma anche a fornire tutti quei servizi di consulenza ed assistenza che si rivelano opportuni (quali, ad es. esame del mercato assicurativo per verificare le condizioni più convenienti per il cliente, ricerca della compagnia che offra le migliori garanzie, esame dei testi contrattuali).
Si afferma, così, che <<l’attività del mediatore di assicurazione (“broker”) comprende una pluralità di profili, fra cui assume veste principale il procacciamento d’affari (a favore dell’assicuratore, tenuto a corrispondere la provvigione), rispetto alla messa in relazione delle parti (cliente e assicuratore) e alla collaborazione (a favore del cliente) nella determinazione del contenuto del contratto assicurativo>> (App. Torino 5.11.98, Giur.It, 1999, 1455).
In quanto esperto della tecnica assicurativa e conoscitore del mercato, la sua attività si rivolge soprattutto a tutelare gli interessi del cliente e, conseguentemente, a collocare i rischi presso le compagnie assicurative che offrono le condizioni più convenienti per lo stesso assicurando, garantendogli così la massima copertura con la minor spesa; egli <<è un incaricato di fiducia dell’assicurando, con il compito prioritario di consigliarlo nella scelta per la collocazione sul mercato dei rischi alle migliori condizioni ed assisterlo nella stipula del contratto di assicurazione o riassicurazione, e successivamente di mettere in contatto a tal fine le parti di questo, con la conseguenza che la stipula diretta da parte della società assicuratrice e l’attribuzione delle polizze all’agenzia indicata dall’assicurato, non viola il diritto di esclusiva nei confronti degli agenti di essa, nè la obbliga a corrispondere loro una percentuale delle previste provvigioni, non essendo i brokers assimilabili ai produttori stabili di affari per conto dell’assicuratore>> (Cass. 26.8.98, n. 8467).
E’ questo quanto emerge dall’esame delle c.d. lettere di brokeraggio, stipulate tra broker e assicurando, le quali, individuando generalmente il broker come consulente fiduciario del cliente e addirittura, in determinati casi, come suo mandatario, lasciano senza dubbio trasparire l’esistenza tra le parti di un rapporto che va ben al di là di una semplice mediazione, risultando improntato su caratteri di stretta collaborazione.
L’attività del broker – incentrata sull’assistenza, messa in relazione delle parti, gestione ed esecuzione del contratto – può dunque configurarsi come un’attività composita, all’interno della quale si rinvengono, sul piano giuridico, elementi tipici non solo della mediazione ma anche di altre figure contrattuali (<<l’attività del mediatore di assicurazione (“broker”) comprende una pluralità di profili, fra cui assume veste principale il procacciamento d’affari (a favore dell’assicuratore, tenuto a corrispondere la provvigione), rispetto alla messa in relazione delle parti (cliente e assicuratore) e alla collaborazione (a favore del cliente) nella determinazione del contenuto del contratto assicurativo>> (App. Torino, 5.11.98, GI, 1999, 1455)
L’effettiva funzione economico – sociale dallo stesso svolta nel processo di distribuzione dei prodotti assicurativi, la quale, come si è visto, può assumere le più diverse raffigurazioni, impedisce infatti che il rapporto di brokeraggio, con particolare riferimento a quello intercorrente tra broker e cliente, possa essere ricondotto sic et simpliciter entro l’ambito esclusivo della mediazione, potendo invece esso assumere le sembianze di altri e differenziati tipi contrattuali.
E ciò nonostante l’intervento della legge 28 novembre 1984, n.792 (ora abrogata dal d.leg.vo 7.9.2005, n. 209, Codice delle assicurazioni private, il quale peraltro ne ha mantenuto l’identificazione), recante disposizioni in materia di istituzione e funzionamento dell’albo dei mediatori di assicurazione.
L’art. 1, pur definendo come mediatore di assicurazione o riassicurazione (e quindi con ciò riferendosi al broker) <>, non lascia certo intravedere il preciso intento del legislatore di individuare l’effettiva natura giuridica del contratto attinente la sua attività.
Il motivo dell’utilizzazione legislativa di tale nomenclatura risiede nella esclusiva esigenza di determinare il preciso campo di applicazione della disciplina vincolistica e protettiva e non in quella di attribuire alla figura in esame una definita veste giuridica.
Pertanto, se si viene a considerare in questi termini l’attività del broker, avendo cioè riguardo ad entrambi i suoi profili, ossia lo svolgimento di un’opera di consulenza e assistenza a favore del cliente e, nel contempo, di un’opera di mediazione, ne deriva che la sua qualificazione giuridica, o meglio, la sua ricomprensione nell’ambito di una determinata fattispecie contrattuale tipica, dovrà compiersi previa valutazione della obiettiva rilevanza e preminenza che ciascuno di tali aspetti, in relazione ad ogni singola fattispecie, riveste nell’economia complessiva dell’intero rapporto.
Così, qualora si ritenga, sulla base di un esame della fattispecie concreta, che nei rapporti tra broker e assicurato, la prestazione del primo rileva non tanto come mera opera interpositiva quanto piuttosto come vera e propria attività di consulenza svolta nel preminente interesse di una delle parti (cliente), interesse che risiede nel garantire la migliore copertura assicurativa al minor costo, ne deriva necessariamente che il rapporto di brokeraggio fuoriuscirà dalla figura della mediazione (e anche della mediazione atipica), per rientrare nel novero di altri tipi, quali il contratto d’opera o l’appalto (artt. 1655 ss.c.c.)
Qualora,invece, il caso concreto denoti una predominanza del carattere interpositivo dell’attività svolta dal broker rispetto all’assistenza e tutela delle ragioni dell’assicurando, ecco che allora il rapporto tra broker e cliente dovrà senza dubbio ritenersi compreso nello schema della mediazione e, conseguentemente, sottoposto alla relativa disciplina.
Ed e’ questa la soluzione seguita preferibilmente anche dalla giurisprudenza.
Passando in rassegna le decisioni che hanno affrontato il tema della natura giuridica della mediazione, emerge infatti che l’orientamento tendenziale dei giudici è quello di individuare il broker quale mediatore.
Questi sarebbe dunque <> (Cass.21.10.80, n.5676), risultando del tutto ininfluente, ai fini di detta qualificazione, il fatto che lo stesso broker venga poi incaricato, nella quasi totalità dei casi, del collocamento dei rischi da chi intende assicurarsi.
La considerazione che anche nella mediazione e, in particolare, nella c.d. mediazione unilaterale o atipica, l’attività può essere suscitata e richiesta da una delle parti intermediate e che l’ordinamento giuridico tende a valorizzare la mediazione soprattutto come fatto, attribuendo così rilievo, al fine della produzione degli effetti giuridici conseguenti all’intermediazione svolta, all’attività posta in essere dal mediatore stesso, al suo risultato finale e alla sua obiettiva utilizzazione da parte dei soggetti intermediati, rappresenterebbe infatti, secondo la giurisprudenza, motivo più che sufficiente a ricomprendere il c.d. rapporto di brokeraggio nell’ambito di tale contratto tipico.
Nè sembra, sempre secondo tale orientamento, che possa diversamente opinarsi traendo spunto dalla circostanza che il broker matura il suo diritto alla provvigione nei riguardi di una sola delle parti.
Come ha affermato la Cassazione (v. Cass.29.5.80, n.3531), la norma contenuta nell’art. 1755, comma 1°, la quale stabilisce che il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti se l’affare si è concluso per effetto del suo intervento, è norma non imperativa e quindi, come tale, ben può essere derogata dalle parti attraverso una precisa pattuizione.
La pronta risposta e soluzione, da parte della giurisprudenza, a qualunque eccezione e questione che possa essere sollevata in ordine alla possibile configurazione del broker quale mediatore, lascia quindi intravedere l’evidente finalità di attribuire a siffatta figura una individuazione unitaria che si riveli la più adatta possibile alla natura del rapporto di brokeraggio.
Soluzione che, come osservato, viene ricercata nella analogia esistente tra l’opera del broker e quella del mediatore e che porta, conseguentemente, ad individuare nel rapporto di brokeraggio gli estremi della mediazione.
Ma, se indubbiamente attraverso tale percorso, seguito dalla giurisprudenza, si ovvia alle possibili e conseguenti incertezze derivanti da una dubbia qualificazione giuridica del rapporto in questione, potendosi così, una volta individuato il tipo contrattuale cui fare riferimento, determinare anche la precisa disciplina ad esso applicabile, è però altresì vero che una ricostruzione giuridica in chiave unitaria e categorica del fenomeno si scontra con la pluralità delle situazioni in cui tale figura di intermediario delle assicurazioni opera.
Pur essendo infatti fuori discussione che il broker compie di regola un’opera di messa in relazione delle parti,la quale si sostanzia nella ricerca delle compagnie disposte a concludere contratti di assicurazione alle migliori condizioni e secondo le esigenze manifestate dallo stesso cliente, nella stragrande maggioranza dei casi svolge anche un’ulteriore attività che va al di là di quella tipica della mediazione e che consiste nella predisposizione di servizi di consulenza e assistenza a favore del cliente.
Elemento, questo, che, come emerge dalle varie pronunce intervenute sull’argomento, viene completamente accantonato, privilegiandosi solamente l’aspetto più evidente dell’opera del broker, costituito, per l’appunto, dall’intermediazione.
In assenza di una precisa individuazione legislativa del fenomeno, appare più opportuno procedere ad una ricostruzione giuridica dell’intero rapporto avendosi riguardo al ruolo concreto che, in relazione alla singola fattispecie considerata, svolge lo stesso broker e quindi tenendosi in debita considerazione l’ulteriore insieme di attività che questi viene compiere in armonia con la sua funzione, le quali, in determinati casi, possono senza dubbio presentarsi prevalenti e, così, assorbenti la pura e semplice opera di intermediazione.
L’accoglimento di questa teoria porterebbe, perciò, come logica conseguenza,alla ricomprensione del rapporto di brokeraggio non solo, necessariamente, nell’ambito di istituti tipici quali la mediazione, ma anche di istituti diversi quali il mandato, la locatio operis, l’ appalto.
Tali considerazioni trovano conferma in una pronuncia del Tribunale di Milano (12.2.87, in FP, 1987, 429), con la quale, pur ribadendosi l’assimilabilità del broker al mediatore, si evidenzia peraltro che tale figura differisce dal mediatore comunemente inteso in quanto <>.
Questo comporta, in conclusione, che in mancanza di un preciso regolamento contrattuale, la disciplina applicabile al rapporto di brokeraggio, pur potendo essere desunta da quella della mediazione, dovrà in ogni caso essere adeguata alla specificità dell’attività e della funzione del broker.