Cass. sez. lav., 7.6.2004, n. 10774 – Riscossioni – Diritto dell’agente al compenso – Presupposti
(Omissis) Come è noto, l’agente non ha la facoltà di riscuotere i crediti del proponente (art. 1744 cod. civ.), salvo che questi gli abbia conferito tale incarico. La giurisprudenza della Corte ha ritenuto che la disciplina legale del contratto di agenzia, desunta dall’art. 1744 c.c. (Riscossioni), comporti che, ove il contratto preveda fin dall’inizio il conferimento all’agente anche dell’incarico di riscossione, deve presumersi – attesa la natura corrispettiva del rapporto – che il compenso per tale attività sia stato già compreso nella provvigione pattuita, che deve intendersi determinata con riferimento al complesso dei compiti affidati all’agente; mentre la medesima attività va separatamente compensata nel caso in cui il relativo incarico sia stato conferito all’agente nel corso del rapporto e costituisce una prestazione accessoria ulteriore rispetto a quella originariamente prevista dal contratto, a meno che non risulti accertata la volontà delle parti di procedere ad una novazione che, prevedendo nuovi obblighi a carico dell’agente, lasci invariati quelli del proponente. Con l’ulteriore precisazione che, quanto deve ritenersi che l’attività di esazione costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto all’originario contratto e richieda una sua propria remunerazione, il compenso debba essere determinato secondo le previsioni dell’art. dell’art. 2225 c.c. (Cass. 18 maggio 1982, n. 306; 10 ottobre 1985, n. 4939, 12 giugno 1987, n. 5177; 27 marzo 1991, n. 3309; 10 marzo 1994, n. 2356; 25 luglio 1995, n. 8110; 5 giugno 2000, n. 7481). Ritiene nondimeno la Corte che il descritto orientamento vada rimeditato nella parte in cui sembra affermare una sorta di automatismo tra pattuizione successiva al contratto iniziale, relativa all’attività di riscossione, e diritto a un compenso aggiuntivo, con salvezza soltanto dell’ipotesi della novazione, evidentemente del tutto coincidente con quella del contratto iniziale. Infatti, i principi generali dei contratti consentono che le parti modifichino successivamente i patti originari, senza con questo necessariamente produrre una novazione oggettiva del rapporto ai sensi dell’art. 1230 c.c. e, in tal caso, ben può darsi che la volontà sia stata espressa nel senso di ampliare le obbligazioni gravanti dall’agente lasciando fermo il corrispettivo pattuito e dunque le obbligazioni del proponente. Pertanto, la sentenza impugnata non è suscettibile di essere sindacata sotto il profilo della violazione di legge per essere pervenuta a questo risultato interpretativo. Né presenta vizi quanto al rispetto dei criteri di ermeneutica di cui agli art. 1362 ss. c.c. e all’obbligo di motivazione sufficiente e non contraddittoria. Secondo la sentenza impugnata, infatti, l’agente aveva espresso, con il comportamento di continuativa riscossione, la volontà di avvalersi della facoltà di incassare dalla clientela secondo le modalità proposte dalla ricorrente, ferme restando le altre condizioni contrattuali e senza, perciò, che fosse pattuito alcun compenso aggiuntivo. (Omissis)