Rinuncia al preavviso ex art. 10 AEC Commercio: decorrenza del termine
Un problema attuale, ricorrente nella pratica, è se la lettera di rinuncia al preavviso, di cui all’art. 10 dell’AEC Commercio (“la parte che ha ricevuto la comunicazione di recesso può rinunciare in tutto o in parte al preavviso senza obbligo di corrispondere l’indennità sostitutiva, entro trenta giorni dal ricevimento della predetta comunicazione”) deve essere inviata cioè spedita entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione di recesso oppure deve essere ricevuta dal destinatario entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione di recesso.
Preliminarmente si rileva che la questione non ha costituito oggetto di specifici interventi giurisprudenziali, e pertanto alla sua soluzione non può che giungersi attraverso un ragionamento analogico, alla luce di orientamenti emersi in casi analoghi quale quello della interruzione della prescrizione.
ll dibattito dottrinario e giurisprudenziale si è da anni concentrato sul problema dell’interruzione della prescrizione e in particolare sul momento in cui il cosiddetto ‘atto interruttivo’ è in grado di produrre i suoi effetti, atteso che, nei casi in cui il titolare esercita il diritto nell’imminenza dello scadere del termine prescrizionale, l’individuazione di tale momento finisce per rivestire un carattere essenziale in ordine all’accertamento dell’eventuale estinzione del diritto.
All’interno del criterio generale in virtù del quale l’atto interruttivo, avendo natura recettizia, produce i suoi effetti nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario (art.1334 c.c. il quale prevede che “gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati”) con applicazione del criterio della presunzione di conoscenza nel momento in cui giunge presso l’indirizzo del ricevente (art.1335 c.c. secondo il quale “la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”), la sentenza della Corte Costituzionale (Sent.n.477 del 26.11.2002) ha segnato un passaggio di fondamentale rilevanza.
La Consulta, infatti, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo sia l’art. 149 c.p.c. sia, coerentemente, l’art.4 comma 3° della Legge n. 890/1982 (‘Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari’) nella parte in cui prevedevano che la notificazione si perfezionasse, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.
A seguito di tale pronuncia, la Legge n.263/2005 ha aggiunto all’art. 149 c.p.c. un terzo comma che, in sostanza, inserisce una sorta di ‘doppio binario’ in virtù del quale la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto.
Tale meccanismo ha rappresentato dal 2002, e continua a rappresentare ancora oggi, l’indiscusso punto di riferimento in tema di decorrenza degli effetti della notifica di atti giudiziari.
La sostanziale novità – che merita di essere considerata ai fini della soluzione del quesito – va ravvisata nella limitazione di tale criterio alla sola sfera giudiziale, con esclusione dell’ambito extragiudiziale.
La Corte di Cassazione, infatti, con una pronuncia di qualche tempo fa (Cassazione, Sez. Lav. 27.7.2008 n.17644), nel disattendere l’eccezione del ricorrente, ha affermato che l’atto in questione (trattavasi di una lettera raccomandata di messa in mora con riferimento a un rivendicato credito di lavoro), in quanto atto di natura negoziale e non giudiziale, ha carattere recettizio e quindi produce i suoi effetti solo quando perviene a conoscenza del destinatario.
Conoscenza intesa, ovviamente, non in senso effettivo ma come ‘conoscibilità’, reputandosi l’atto conosciuto nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario (proprio ai sensi degli art. 1334 e 1335 c.c. sopra richiamati).
In sostanza, nel caso in esame, il ricorrente aveva sostenuto di aver interrotto tempestivamente il decorso della prescrizione del credito, avendo inviato una diffida con raccomandata prima dello spirare del termine quinquennale di prescrizione; raccomandata che, però, era giunta a destinazione subito dopo la decorrenza di tale termine.
A tale proposito era stato invocata l’applicazione del principio sancito dalla Corte Costituzionale nel 2002 – sopra richiamato -, sollevando in via subordinata una nuova eccezione di incostituzionalità poiché, in caso contrario (ha sostenuto il ricorrente), si sarebbe verificata un’ingiustificata disparità di trattamento tra gli atti notificati a mezzo di ufficiale giudiziario e gli ‘atti giuridici’ (forse sarebbe stato meglio definirli atti ‘aventi rilevanza giuridica’), quali appunto la lettera di interruzione della prescrizione spedita a mezzo di raccomandata.
La Suprema Corte di Cassazione, con la richiamata sentenza, ha rigettato simili argomentazioni, ritenendo manifestamente infondata la violazione di costituzionalità prospettata dai ricorrenti, atteso che la ratio della richiamata statuizione della Corte Costituzionale va rintracciata principalmente nell’esigenza di tutela del diritto di difesa (essendo stata prospettata nel caso specifico la violazione dell’art.24 della Costituzione) non ravvisabile nell’ipotesi in cui, a essere trasmesso a mezzo del servizio postale, sia un atto stragiudiziale.
La Cassazione ha poi precisato che, in tale contesto, nell’ottica di un equo contemperamento degli interessi contrapposti, si è correttamente ritenuto di privilegiare l’interesse del destinatario alla certezza del diritto (a sapere cioè se la prescrizione sia stata tempestivamente interrotta, oppure il rapporto sia ormai definito), rispetto all’interesse antitetico del mittente a interrompere la prescrizione, specie se si considera che quest’ultimo ha avuto la possibilità di agire con la dovuta tempestività facendo pervenire l’atto all’indirizzo del destinatario entro il termine prescrizionale, potendosi avvalere a tal fine del principio della ‘conoscibilità’ che lo esonera dal provare l’effettiva conoscenza (art. 1335 c.c.).
Ne consegue che, alla luce di un simile principio di diritto, ai fini dell’individuazione del momento in cui l’atto interruttivo produce i suoi effetti, assume rilevanza decisiva l’accertamento della natura (giudiziale o extragiudiziale) dell’atto stesso.
Per il soggetto che esercita il diritto e che vuole impedirne l’estinzione per decorrenza della prescrizione, infatti, in un caso (trattandosi di atto giudiziale) sarà sufficiente inviare l’atto interruttivo prima del decorso del termine, mentre nell’altro (trattandosi di atto stragiudiziale) sarà suo onere fare in modo che, entro tale termine, l’atto stesso pervenga presso l’indirizzo del destinatario.
Affermazioni, quelle espresse dalla S.C., che paiono trovare applicazione pratica ai fini della soluzione del quesito posto.
La comunicazione di rinuncia in tutto o in parte al preavviso rappresenta un atto unilaterale stragiudiziale.
Il termine di trenta giorni, entro il quale comunicare alla parte recedente la predetta rinuncia, deve quindi necessariamente coincidere con la data di ricezione della relativa comunicazione da parte del destinatario e non con la data di invio (spedizione).