Le modalità di calcolo e/o liquidazione delle provvigioni nel contratto di agenzia.
Uno degli aspetti maggiormente attuali del contratto di agenzia è quello del calcolo e/o liquidazione delle provvigioni.
La domanda che ci si pone è se in ogni caso l’agente debba essere pagato al momento della fatturazione o ad un momento diverso quale ad esempio quello del “buon fine dell’affare”
La norma di riferimento è quella contenuta nell’art. 1748, c.c.come modificato dal d.Leg.vo 15 febbraio 1999, n. 65.
Tale articolo prevede espressamente che: ” Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico.
Se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l’agente ha diritto, per la parte ineseguita, ad una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità. L’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. E’ nullo ogni patto più sfavorevole all’agente”.
La lettura della norma sembrerebbe ammettere la possibilità di un diverso accordo scritto tra le parti che non colleghi direttamente il diritto dell’agente alla provvigione al fatto che il preponente abbia eseguito l’affare.
Va però osservato che non è certamente chiaro cosa si sia inteso esattamente stabilire con tale locuzione (la quale peraltro rappresenta l’esatta trasposizione della corrispondente norma contenuta nella direttiva comunitaria) anche se pare che con l’indicata formulazione il legislatore abbia inteso riferirsi al caso del preponente che avendo eseguito la sua prestazione (la consegna della merce ordinata) – al di là dell’ ipotesi in cui il cliente abbia a sua volta adempiuto alla propria (con il relativo pagamento) – non ne veda corrisposto il prezzo. In tale evenienza il momento (la data) in cui il terzo <<avrebbe dovuto eseguire la prestazione>> rappresenterebbe il momento ultimo in cui comunque all’agente spetta la provvigione.
Interpretazione che troverebbe una indiretta conferma nella disposizione imperativa (e inderogabile) contenuta al successivo 6°co., laddove si prevede che l’agente sia tenuto a restituire le provvigioni percepite <<solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente>>. Quale può infatti essere il caso in cui il contratto concluso non sia poi eseguito per fatto non imputabile al preponente con ciò determinadosi l’obbligo dell’agente di restituzione delle provvigioni? Certamente il caso in cui ad esempio il cliente respinga la merce (semprechè ovviamente questa sia difettosa o non rispondente alla qualità convenute nella quale ipotesi sussisterebbe un inadempimento del prpeonente). Ma anche il caso in cui il cliente non paghi la merce consegnatagli dal preponente. Ipotesi, anche questa, di affare non eseguito (regolarmente).
Norma questa riferibile (oltre che al caso dell’affare non eseguito per fatto imputabile al preponente) all’ipotesi dell’affare non regolarmente eseguito in seguito al mancato adempimento della prestazione da parte del cliente.
E tale ultimo riguardo va rilevato che se il diritto alla provvigione sorge non più con la vera e propria esecuzione dell’affare promosso ma con la sua semplice conclusione, divenendo, poi, esigibile con la scadenza dell’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale l’affare medesimo è stato concluso (v. art. 1749 c.c.), ciò non significa però dire che l’agente abbia il diritto a trattenere la provvigione indipendentemente dalla sorte del contratto da lui promosso.
Qualora, infatti, l’affare da lui promosso e concluso dalla preponente non abbia ottenuto una regolare esecuzione (ad. es. perchè il cliente non ha adempiuto all’obbligazione di pagare la merce acquistata), l’agente sarà tenuto a restituire quanto ricevuto a titolo di provvigioni.
In virtù della disposizione di cui al 6° co. dell’art. 1748 c.c., si può quindi sostenere che la sorte dell’affare continua a rappresentare un momento centrale nel processo di liquidazione delle provvigioni.
La differenza, rispetto alla normativa previgente, è che tale elemento interviene solo come condizione risolutiva (qualora l’affare non sia andato a buon fine), e non, come accadeva precedentemente, quale condizione sospensiva del diritto stesso (mancata certezza del buon fine dell’affare).
Il che equivale dire che mentre prima l’incertezza sull’esito dell’affare promosso determinava una sorta di aspettativa del diritto dell’agente alla provvigione, che si convertiva nel suo conseguimento al verificarsi dell’avveramento del buon fine dell’affare medesimo, ora, alla luce del nuovo art. 1748 c.c., la sorte dell’affare assume rilievo nella sua fase confermativa del mantenimento nel patrimonio dell’agente delle provvigioni già a lui liquidate (A.B.).