Indennità di cessazione ex art. 1751 c.c. e accordi economici collettivi

Ritornando sulla nota questione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia la S.C., nel riaffermare la centralità della norma di cui all’art. 1751 c.c., rileva altresì che ai fini della sua quantificazione, nel caso in cui nel contratto sia fatto espresso richiamo agli AEC, non si possa prescindere dall’equità, verificandosi se la disciplina collettiva sia rispettosa di tale criterio.

Compatibilità che, come precisa la S.C., se insussistente, dovrà necessariamente essere ripristinata una volta valutate tutte le circostanze del caso e, in particolare, le provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con i clienti (già) di sua pertinenza.

“Questa Corte nel ribadire l’orientamento ora riferito, ha precisato (v. in motivazione sentenza 19 febbraio 2008 n. 4056) che se da una parte non può più affermarsi, secondo il precedente indirizzo giurisprudenziale, la generale prevalenza della normativa contrattuale ritenuta più favorevole per la categoria degli agenti rispetto alla disciplina di fonte esclusivamente legale (art. 1751 c.c.), d’altra parte il recente arresto giurisprudenziale della Corte di giustizia non implica affatto l’invalidità di tale normativa per contrarietà ad una disposizione imperativa ed inderogabile in danno dell’agente, quale pure è quella posta dall’art. 1751 c.c. (Cass., sez. un., 30 giugno 1999, n. 369), ma impone una verifica individualizzata e focalizzata sul caso concreto giacchè la normativa collettiva non tiene conto della specifica circostanza consistente nel fatto che l’agente possa aver procurato nuovi clienti al preponente o aver sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti. In tal caso, si impone una verifica ulteriore della “giusta” quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto per l’agente. “Non si tratta in realtà – se non in termini meramente empirici – di una comparazione tra la quantificazione (in generale) dell’indennità secondo i criteri dettati dalla contrattazione collettiva e quella operata (caso per caso) secondo i criteri legali di cui all’art. 1751 c.c. per verificare che in concreto la prima sia più favorevole della seconda; ciò perchè manca il secondo termine di questa ipotizzata comparazione in quanto l’art. 1751 c.c. non contiene affatto criteri legali per la quantificazione dell’indennità, ma pone solo un parametro di valutazione che rinvia all’equità. Infatti prescrive che il calcolo dell’indennità deve essere equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali cliente”. Ove sulla base delle risultanze istruttorie, risulti che l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti, il giudice deve verificare tenendo conto di tutte le circostanze di fatto emergenti dal concreto svolgimento del rapporto di agenzia, se l’indennità di cessazione del rapporto, nella misura calcolata sulla base dei criteri previsti dalla contrattazione collettiva, possa considerarsi, o no, “equa”, nel senso di compensativa anche del particolare merito dell’agente emergente dalla suddetta circostanza di fatto, tenendo peraltro conto del limite di cui all’art. 1751 c.c., comma 3, applicabile alla quantificazione secondo equità dell’indennità in esame. (Cass. 1.6.2009, n. 12724).