Agente estero

Certamente un problema sempre più ricorrente nella pratica e collegato al progressivo fenomeno della globalizzazione dei mercati è se gli AEC siano estendibili anche all’agente operante all’estero.

Si tratta di una questione che investe sia il caso dell’agente straniero che quello dell’agente italiano che opera all’estero per conto di un’azienda nazionale.

Quanto alla prima ipotesi è da escludersi categoricamente un’applicabilità dell’AEC all’agente estero non iscritto ad associazioni sindacali di categoria tranne il caso il cui non sia espressamente richiamato nel contratto il relativo AEC.

Quanto, invece, alla seconda ipotesi, si registrano due diversi orientamenti giurisprudenziali, peraltro resi in materia di applicabilità della contrattazione collettiva al lavoratore italiano alle dipendenze di un datore di lavoro nazionale operante all’estero.

Secondo un primo orientamento, si afferma che <<le prestazioni lavorative svolte all’estero da un lavoratore italiano alle dipendenze di un datore di lavoro nazionale – nel regime anteriore alla legge n. 398 del 1987 (sul lavoro italiano all’estero) – sono disciplinate, secondo il disposto dell’art. 25 preleggi, dalla legge nazionale dei contraenti, se comune, od in mancanza dalla legge del luogo di conclusione del contratto di lavoro, salva in ogni caso la diversa volontà delle parti ed il rispetto dei limiti derivanti dall’ordine pubblico, richiamati dall’art. 31 preleggi, sicché deve escludersi che – ove non risulti una diversa esplicita volontà delle parti contraenti – divenga automaticamente ed integralmente inapplicabile la normativa dettata dal contratto collettivo regolante il rapporto in Italia, il cui ambito territoriale di efficacia non è necessariamente, nè presuntivamente, limitato al territorio nazionale. In tale ipotesi, peraltro, la destinazione all’estero del dipendente, pur non interrompendo o sospendendo il rapporto di lavoro, può comportare in relazione alle modalità della prestazione ed alle condizioni economico-sociali, nonché all’ordinamento del paese ospitante, un adeguamento della regolamentazione del rapporto stesso con la conseguenza che occorre procedere all’interpretazione della normativa contrattuale, istituto per istituto, al fine di stabilire quali clausole, essendo indifferenti rispetto al luogo della prestazione, trovano comunque applicazione e quali, invece, supponendo determinate condizioni di lavoro, non possano ritenersi volute e, quindi, applicabili in relazione ad attività da svolgersi all’estero od in paesi che tali condizioni non consentano>> (Cass. 5.9.88, n. 5021)

Secondo un altro (più recente) indirizzo giurisprudenziale, la contrattazione collettiva non può comunque travalicare il territorio nazionale.

Indirizzo, questo, seguito anche con riferimento agli AEC (validi erga omnes) in materia di contratto di agenzia, come testimonia una pronuncia della Cassazione del ’90 secondo la quale <<i contratti di lavoro, anche con validità “erga omnes”, che si ispirano funzionalmente ad intenti di uniformità di trattamento giuridico ed economico dei lavoratori, spiegano la loro efficacia, di regola, all’interno del territorio nazionale e non sono quindi applicabili ad attività lavorative svolte al di fuori dei confini statali (salva diversa esplicita volontà desumibile dalle pattuizioni dei contraenti), non sussistendo sui mercati esteri le condizioni economico-sociali proprie delle imprese che operano nel nostro territorio, da una parte, e dei lavoratori, dall’altra, in vista delle quali gli stessi contratti determinano quel trattamento>> (Cass. 9.10.90, n. 9936).