Il recepimento della sentenza della Corte di Giustizia (causa C 465/2004) nella recente giurisprudenza italiana
Mutando l’orientamento maggioritario sino ad ora seguito, la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 21309 del 3 ottobre 2006, si è allineata alla giurisprudenza seguita dalla Corte di Giustizia CE con la sentenza resa nella causa n. C 465/04.
Una sentenza, quest’ultima, che ha definitivamente chiarito il dilemma se dovessero trovare applicazione, nel sistema Italia, gli AEC o la nuova disciplina dell’indennità di fine rapporto di agenzia introdotta dal d.leg.vo 303/1991, attuativo della direttiva comunitaria 653/1986.
Aspetto, quest’ultimo, sul quale si era concentrata maggiormente l’attenzione degli interpreti negli ultimi quindici anni e che aveva dato luogo all’insorgere di posizioni dottrinali e giurisprudenziali anche tra loro diametralmente opposte.
Così, a fianco di chi riteneva sempre e comunque applicabili gli AEC, in quanto oggettivamente più favorevoli per l’agente, si poneva la diversa posizione di chi escludeva una tale eventualità sul rilievo della centralità della disciplina statuale come introdotta dal citato d.leg.vo 303/91 modificativo, tra l’altro, dell’art. 1751 c.c.
La menzionata pronuncia della Corte di Giustizia ha stabilito la prevalenza della normativa comunitaria (e così della corrispondente normativa di cui al d.leg.vo 303/1991) sulla contrattazione collettiva.
Principio ora riaffermato dalla Cassazione e che si può sinteticamente riassumere nella regola che il Giudice deve sempre applicare la normativa (art. 1751 c.c.) che assicuri all’agente il risultato migliore (e quindi l’indennità di cessazione maggiore), al momento dello scioglimento del rapporto di agenzia.
Percorsi, questi, seguiti anche dalla giurisprudenza di merito.
Emblematica è una recente pronuncia del Tribunale di Forlì, Sezione lavoro (4.12.2006) la quale, per il punto che qui interessa, ha affermato:
<< (...) Passando ad esaminare la domanda concernente l'indennità di scioglimento del rapporto prevista dall'art. 1751 c.c., come novellato dal D. Lgs. N. 303/91 e recentemente dal D. Lgs. N. 65/99 in attuazione della Direttiva CEE N. 653 del 18/12/1986, va ricordato che in ordine all'interpretazione della norma in questione si sono formati due orientamenti: uno, minoritario, secondo il quale la direttiva europea configura un'indennità di tipo assolutamente meritocratico, che tende a compensare coloro che abbiano arrecato dei vantaggi alla preponente e poco o nulla a chi non abbia significativamente incrementato il portafoglio degli ordini, con conseguente applicabilità degli AEC (che attribuiscono invece le stesse indennità a tutti gli agenti in misura e percentuali fisse, in relazione ai vari scaglioni di fatturato, senza riconoscere rilevanza agli aumenti di fatturato riferibili al buon lavoro degli agenti) solo per quegli agenti che non siano in grado di dimostrare i presupposti previsti dalla disciplina codicistica, ed uno, maggioritario, secondo il quale, posto che la norma consente una deroga della disciplina legale che non sia "a svantaggio dell'agente", la valutazione circa il carattere o meno di maggior favore dei trattamento di fine rapporto previsto dagli accordi collettivi deve essere effettuata non in concreto ed ex post, sulla base della misura dell'indennità ritenuta liquidabile dal giudice, ma ex ante, sulla base del confronto tra la regolamentazione legale e quella contrattuale.A dirimere tale contrasto interpretativo è intervenuta la recente sentenza del 23 marzo 2006 la Corte di Giustizia dell'Unione europea, la quale ha affermato che l'interpretazione degli arti 17 e 19 della direttiva (dai quali trae origine l'art. 1751 c.c.) va effettuata con riferimento all'obiettivo perseguito dalla direttiva e dal sistema in essa configurato, con la conseguenza che al regime istituito deve essere attribuito carattere imperativo e inderogabile.Con la recentissima pronuncia n. 21309 del 3.10.2006 la Corte di cassazione ha poi precisato che il precedente orientamento maggioritario deve essere abbandonato, perché in contrasto con la decisione della Corte di giustizia, e ha affermato che la direttiva deve essere interpretata nel senso che la pattuizione in deroga può essere ritenuta più vantaggiosa per l'agente nel solo caso in cui gli assicuri, sempre e comunque, un'indennità di importo pari o maggiore a quella legale, con conseguente nullità delle attuali clausole degli accordi economici collettivi relative alla determinazione dell'indennità e sostituzione di diritto di dette clausole, ai sensi dell'art. 1419 c.c., con la norma del codice civile.Deve pertanto ritenersi, alla stregua della pronuncia della Corte di giustizia, che l' an e il quantum dell'indennità debbano essere accertati esclusivamente alla luce delle previsioni dell'art. 1751 c.c.(...)>> (A.B.).