Il tentativo di conciliazione
L’attivazione di un procedimento avanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro per questioni attinenti il contratto di agenzia (qualora l’agente sia ditta individuale) è assoggettato alle norme di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c.
Preliminarmente deve essere esperito il tentativo di conciliazione (art. 410 c.p.c.) (ora peraltro reso facoltativo per effetto della legge L. 4 novembre 2010, n. 183) il quale può compiersi anche attraverso le procedure previste dagli AEC vigenti (2002).
Qualora non si intenda seguire tale ultima soluzione, il difensore, la parte personalmente o l’associazione sindacale alla quale la medesima aderisce o conferisca mandato (art. 410 c.p.c.), possono formulare precisa istanza in tale senso avanti alla competente Commissione di Conciliazione delle Controversie Individuali di Lavoro (e cioè alla Commissione di Conciliazione delle Controversie Individuali di Lavoro situata nella circoscrizione del tribunale competente che è quello del luogo in si trova il domicilio dell’agente o rappresentante di commercio).
Quest’ultima, ricevuta la richiesta, fisserà la data della riunione (di cui verrà data comunicazione alle parti nel loro domicilio) alla quale sia l’istante che il convenuto potranno comparire personalmente o a mezzo di persona munita di delega autentica a transigere e conciliare comunque la controversia e a rilasciare quietanza liberatoria.
Qualora la vertenza si concluda in tale sede verrà redatto verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti poi depositato presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato.
Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo (art. 411 c.p.c.).
Se invece la conciliazione non riesce la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio (art. 411 c.p.c.).