Cass. sez. lav., 29.7.2002, n. 11189 – Art. 1751 c.c. – Indennità di cessazione rapporto
(Omissis) L’art. 1751 del codice civile, nella sua originaria formulazione, prevedeva l’indennità per lo scioglimento del contratto per fatto non imputabile all’agente. La norma è stata modificata dalla legge 15 ottobre 1971 n. 911 che ha esteso il diritto all’indennità ad ogni ipotesi di risoluzione del contratto di agenzia, ma la modifica è venuta sostanzialmente meno a seguito del D. L.vo 10 settembre 1991 n. 303 che, in attuazione dell’art. 18 della direttiva comunitaria, ha escluso l’indennità nel caso di grave inadempienza da parte dell’agente o nel caso di dimissioni volontarie di quest’ultimo (e cioè non dovute ad età, infermità o malattia). Tale intervento legislativo, ad avviso della ricorrente incidentale, sarebbe già di per sè sufficiente a far ritenere più favorevole la disciplina dell’indennità prevista dai c.d. “accordi ponte”, rispetto a quella di cui all’art. 1751 codice civile. L’art. 1751, comma 6 , codice civile, nel testo modificato dal decreto del 1991, vieta alle parti del contratto di agenzia di derogare ai criteri di determinazione ivi stabiliti solo quando ciò avvenga a detrimento dell’agente. Questa Corte ha già avuto occasione di precisare che l’inderogabilità della indennità di cessazione del rapporto di agenzia a svantaggio dell’agente ha lo scopo di impedire, nella disciplina dei rapporti tra agenti commerciali e loro preponenti, differenze tra le legislazioni nazionali tali da poter influenzare sensibilmente le condizioni di concorrenza e da pregiudicare il livello di protezione degli agenti (Cass. Sez. Un. 30 giugno 1999 n. 369). Non essendo tuttavia questa inderogabilità assoluta, è pur sempre possibile la introduzione – per via contrattuale – di una deroga alla disciplina legale, purché questa non sia pregiudizievole per l’agente, e solo nei limiti eventualmente desumibili dalla “ratio” della direttiva comunitaria e delle norme interne di attuazione (Cass. 11 agosto 2000 n. 10659 e 30 agosto 2000 n. 11402). Nella prima delle due decisioni ora richiamate, questa Corte, con un “obiter dictum”, pur dichiarando l’inammissibilità del ricorso per la mancata trascrizione del testo dell’accordo economico collettivo, ha affermato che la disciplina dell’indennità dovuta all’agente in caso di cessazione del rapporto, a norma dell’art. 1751 codice civile, deve ritenersi derogabile – oltre che da parte dei contratti individuali – anche ad opera della contrattazione collettiva, nei limiti indicati dalla stessa legge. In alcune decisioni, questa Corte ha già avuto occasione di precisare che la valutazione se la regolamentazione pattizia sia o non pregiudizievole per l’agente rispetto a quella legale – con la conseguenza, nella prima ipotesi, della nullità delle clausole relative – deve essere operata ex ante, non potendosi nè sul piano obiettivo nè su quello dell’affidamento delle parti, specie in un rapporto di durata, giudicare della validità delle clausole del negozio costitutivo che tale rapporto sono destinate a regolare nel suo ulteriore svolgimento (e che costituiscono dunque un prius logico – giuridico), alla luce del risultato economico (il quale rappresenta una conseguenza del rapporto) che al momento della sua cessazione le parti concretamente conseguirebbero a secondo che si applichi il regime convenzionale o quello legale (Cass. 11402 del 30 agosto 2000). Ad avviso del Collegio, tuttavia, queste considerazioni generali meritano di essere rivisitate alla luce della lettera e dello spirito della nuova disciplina contenuta nell’art. 1751 codice civile, affermando la prevalenza della disciplina codicistica sulla contrattazione collettiva tutte le volte che l’applicazione del criterio stabilito dalla legge conduca ad un trattamento in concreto più favorevole all’agente. Nel rapporto di agenzia, il diritto all’indennità di scioglimento del contratto – secondo la disciplina dell’art. 1751 codice civile derivante dalla modifica del primo alinea attuata dal Decreto Legislativo n. 65 del 15 febbraio 1999 – è subordinato alla concorrente presenza sia del requisito della permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, sia dalla rispondenza ad equità dell’attribuzione all’agente della indennità, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni da lui perse (Cass. 2 maggio 2000 n. 5467). Il testo della direttiva riprende alcune disposizioni già dettate dall’art. 89 b del codice tedesco, che prevedeva il ricorso ad un controllo equitativo per stabilire non solo l’esistenza del diritto alla indennità di cessazione, ma anche la misura di tale indennità. La disposizione del codice tedesco individua, infatti, quattro presupposti che devono sussistere congiuntamente, ai fini della maturazione del diritto all’indennità di fine rapporto: – la cessazione del rapporto di agenzia (par. 2.1); – i notevoli vantaggi per il preponente (par. 2.2); – la perdita delle provvigioni da parte dell’agente (par. 2.3); – la valutazione conclusiva della rispondenza ad equità della indennità riconosciuta all’ex agente (par. 2.4). Il riferimento al criterio dell’equità, contenuto nella disposizione dell’art. 1751 codice italiano (che prevede anche l’esame di tutte le circostanze del caso) impone di fare riferimento al risultato economico in concreto conseguibile al momento della risoluzione del rapporto, secondo le due diverse discipline. Tale interpretazione, del resto, appare in linea con i contenuti della Direttiva Europea, che deve fungere da criterio interpretativo per il giudice nazionale ed in caso di contrasto prevalere sul testo introdotto nell’ordinamento interno. La Direttiva Europea, infatti, ha configurato una indennità di tipo assolutamente meritocratico, che tende a compensare coloro che abbiano arrecato dei vantaggi alla preponente e poco o nulla a chi non abbia significativamente incrementato il portafoglio. Gli Accordi Economici Collettivi, invece, hanno attribuito le stesse indennità a tutti indistintamente gli agenti, in misure percentuali fisse, in relazione a vari scaglioni di fatturato (senza attribuire alcuna rilevanza agli aumenti di fatturato, riferibili al buon lavoro dell’agente). Il richiamo all’equità non serve, in altre parole, solo per determinare i casi nei quali l’indennità deve essere erogata, ma deve essere utilizzato anche come criterio per la determinazione dell’indennità stessa. L’AEC prevede un trattamento più favorevole della disciplina del codice civile solo per quegli agenti che non siano in grado di dimostrare i presupposti previsti da quest’ultima, con la conseguenza che la disciplina dell’art. 1751 codice civile trova piena applicazione in tutti i casi in cui sia possibile dimostrare l’esistenza dei presupposti indicati dalla legge. (Omissis)