Cass. sez. lav., 26.5.2004, n. 10179 – Recesso – Indennità ex art. 1751 c.c.
(Omissis) Per il rapporto di agenzia, gli art. 1750 e 1751 c.c., anche nel testo sostituito dagli art. 3 e 4 d. lgs. 10 settembre 1991, n. 303 (di attuazione della direttiva Cee 86/653), da una parte, attribuiscono espressamente il potere libero di recesso dal contratto a tempo indeterminato a ciascuna delle parti, con il solo obbligo del preavviso; dall’altra, disciplinano le rispettive obbligazioni economiche conseguenti alla cessazione del rapporto. L’assenza di qualsiasi riferimento alla giustificazione del recesso esclude, dunque, qualunque regime di stabilità, reale o obbligatoria, regime estraneo sia alla legislazione previgente, sia a quella che ha dato attuazione alla direttiva Cee, direttiva che ha indubbiamente accresciuto i livelli di garanzia per l’agente, ma senza minimamente incidere sul potere di recesso. Né potrebbe fondatamente dubitarsi, nella prospettiva della tutela del contraente debole, della conformità ai principi costituzionali della normativa e della sua interpretazione, e ciò per l’assorbente considerazione che persino per i lavoratori subordinati (meritevoli indubbiamente di una tutela maggiore rispetto a quella dei lavoratori autonomi, ancorché “parasubordinati”), la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile la previsione del recesso ad nutum (C. cost. 2/1986; 225/1994), precisando altresì che le norme di tutela contro i licenziamenti illegittimi non rientrano nel novero di quelle c.d. “a contenuto costituzionalmente vincolato”, la cui abrogazione si tradurrebbe in una lesione di principi costituzionali (C. cost. 36/2000; 46/2000). (Omissis)