Cass. Sez. Lav. 17239/2016 – Patto di non concorrenza
La sentenza n. 17239/2016 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione fornisce utili spunti in merito all’art. 1751-bis, comma 2, cod. civ. sul patto di non concorrenza nei rapporti di agenzia nonché in merito alla violazione del patto medesimo.
La vicenda traeva origine da un contratto di agenzia sottoscritto dapprima nel 1987 e poi rinnovato nel 1993 in cui era previsto un patto di non concorrenza dell’agente. Il contratto in questione ha cessato di avere effetti nel 2003, pertanto successivamente all’introduzione dell’art. 1751-bis comma 2 cod. civ., in virtù del quale, a decorrere dall’1 giugno 2001, “l‘accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale, indicando i parametri cui l’indennità va commisurata, affidando la sua determinazione alla contrattazione tra le parti”.
I giudici della Corte di Appello di Bologna, nella sentenza di secondo grado, avevano ritenuto che l’art. 1751-bis, comma 2, c.c. trovasse applicazione anche al contratto oggetto della controversia, sottoscritto prima ma cessato dopo l’introduzione della norma.
La Cassazione ha cassato la sentenza di secondo grado, ribadendo il principio già enunciato nella propria sentenza 12127/2015, ossia che l’art. 1751-bis, comma 2, cod. civ. “non si applica ai patti stipulati prima della sua entrata in vigore, ancorché i contratti di agenzia cui si riferiscano siano cessati successivamente” , dovendosi fare riferimento, in assenza di una disciplina transitoria prevista dal legislatore, all’art. 11 preleggi “secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo“.
Inoltre, la Suprema Corte ha chiarito che la previsione dell’onerosità del patto di non concorrenza – sebbene prevista dall’art. 1751bis, comma 2, cod. civ. – “non è inderogabile, in quanto non presidiata da una sanzione di nullità espressa e non diretta alla tutela di un interesse pubblico generale; anche per la nuova disciplina l’agente, d’intesa con la preponente, può dunque espressamente stabilire che all’obbligo assunto non sia correlato un corrispettivo, atteso che la non-specifica valorizzazione economica dell’impegno può giustificarsi come conveniente nel contesto dell’intero rapporto di agenzia”.
La sentenza in commento offre, anche, spunti di riflessione sui criteri di valutazione della violazione del patto di non concorrenza e sul rapporto tra azione contrattuale ex art. 1751-bis cod. civ. e quella extra-contrattuale di concorrenza sleale ex art. 2598.
Sul primo punto la Cassazione ha chiarito che “onde verificare la violazione da parte dell’agente dell’impegno di non concorrenza contrattualmente assunto non deve aversi riferimento esclusivamente ai contenuti del contratto di agenzia eventualmente concluso con una impresa concorrente ma a tutte le attività concorrenziali poste in essere dall’agente in violazione del patto, che ben potrebbero consistere, ad esempio, nello svolgimento di una attività di promozione per conto di un imprenditore/terzo non formalizzata in un contratto” e che pertanto non è necessaria la prova di un effettivo sviamento di clientela.
Sul rapporto tra le due azioni (contrattuale / extra-contrattuale), la Suprema Corte ha stabilito che esse non sono alternative tra loro e che invece possono concorrere “ove la violazione del patto di non concorrenza avvenga attraverso atti illeciti”.