Codice di procedura civile (art. 409 – 441 c.p.c.)

Codice di procedura civile (stralcio)

TITOLO IV

Norme per le controversie in materia di lavoro

Capo I

Delle controversie individuali di lavoro

Sezione I

Disposizioni generali

409. Controversie individuali di lavoro.

Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a:

1) rapporti di lavoro [c.p.c. 646, 659] subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio di una impresa;

2) rapporti di mezzadria [c.c. 2141], di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto [c.c. 1647], nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie;

3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato (2);

4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici [c.c. 2093] [c.n. 603-609] che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica;

5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice (3).

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(1) Sull’applicabilità delle norme processuali di cui al presente capo alle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti ad incidenti stradali, vedi il combinato disposto dell’art. 3, L. 21 febbraio 2006, n. 102 e del comma 2 dell’art. 53, L. 18 giugno 2009, n. 69.

(2) Vedi, anche, l’art. 61, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

(3) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo IV. Le norme relative alle controversie individuali di lavoro sono applicabili alle controversie in materia di locazioni di immobili urbani, così come dispone l’art. 46, L. 27 luglio 1978, n. 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani. Vedi, anche, gli articoli da 43 a 57 della suddetta legge.

Per la non applicabilità della sospensione dei termini, nel periodo feriale, alle controversie previste da questo articolo, vedi l’art. 3, L. 7 ottobre 1969, n. 742.

Vedi, inoltre, l’art. 68, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e l’art. 45, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, sulla giurisdizione nelle controversie di lavoro.

La Corte costituzionale, con sentenza 12-19 febbraio 1976, n. 29 (Gazz. Uff. 25 febbraio 1976, n. 51), ha dichiarato, fra l’altro, non fondata la questione di legittimità dell’art. 409 c.p.c., come modificato dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, in riferimento all’art. 3, comma primo, Cost; con successiva sentenza 12-19 febbraio 1976, n. 33 (Gazz. Uff. 25 febbraio 1976, n. 51), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 409, n. 3, c.p.c., nel testo risultante dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533 in riferimentoall’art. 3 Cost; con altra sentenza 4-20 gennaio 1977, n. 43 (Gazz. Uff. 26 gennaio 1977, n. 24), ha dichiarato: a) inammissibile la questione di legittimità dell’art. 409, n. 5, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 102 Cost.; b) non fondata la questione di legittimitàdell’art. 409, n. 4, c.p.c., in riferimento agli art. 3, comma secondo, e 25 comma primo, Cost.; c) non fondata la questione di legittimità dell’art. 409, n. 5, c.p.c., in riferimento agli art. 3, comma primo, 4 comma primo, 25 comma primo, 35 comma primo, e 102 Cost.; d) non fondata la questione di legittimità dell’art. 429, comma terzo, c.p.c., in riferimento all’art. 3 Cost. La stessa Corte, con sentenza 13-20 aprile 1977, n. 66 (Gazz. Uff. 27 aprile 1977, n. 113), ha dichiarato, fra l’altro, manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 409 c.c. (rectius 409 c.p.c.), come modificato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, in riferimento agli artt. 3 e 35 Cost. e già dichiarata non fondata con sentenza dalla Corte n. 29 del 1976. La stessa Corte, con sentenza 3 aprile-26 maggio 1981, n. 76 (Gazz. Uff. 3 giugno 1981, n. 151), ha dichiarato, fra l’altro, non fondate le questioni di legittimità dell’art. 409 c.p.c., in riferimento agli artt. 1, 3, 4 e 35 Cost.; con sentenza 19 marzo-2 aprile 1992, n. 155 (Gazz. Uff. 15 aprile 1992, n. 16 – Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’art. 409, n. 3, c.p.c., nella parte in cui, tra i rapporti previsti, non comprende anche quello tra socio lavoratore e cooperativa di lavoro e di produzione, in riferimento agli artt. 3, 24 e 45 Cost.

410. Tentativo di conciliazione (1)

Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413.

La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.

Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del Presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.

La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall’istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.

La richiesta deve precisare:

1) nome, cognome e residenza dell’istante e del convenuto; se l’istante o il convenuto sono una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, l’istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;

2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;

3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;

4) l’esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.

Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.

La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave (1).

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(1) Articolo prima sostituito dall’art. 1 , L. 11 agosto 1973, n. 533, poi modificato dall’art. 36 , D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e dall’art. 19 , D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 e, infine, così sostituito dall’art. 31 , comma 1, L. 4 novembre 2010, n. 183. Vedi, anche, il comma 9 del citato art. 31 , legge n. 183 del 2010.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla suddetta legge n. 183 del 2010 era il seguente:

«Tentativo obbligatorio di conciliazione.

Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413.

La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.

Con provvedimento del direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell’ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.

Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione.

Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma.

In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.

Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro certifica l’impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione.».

Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 6-13 luglio 2000, n. 276 (Gazz. Uff. 19 luglio 2000, n. 30 – Prima serie speciale) aveva dichiarato, tra l’altro, non fondata la questione di legittimità, in riferimento agli artt. 24 e 76 Cost. Con la stessa sentenza la Corte aveva inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal decreto legislativo n. 387 del 1998 era il seguente:

«Tentativo obbligatorio di conciliazione.

Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione nella cui circoscrizione si trova l’azienda o la dipendenza alla quale il lavoratore è addetto o era addetto al momento dell’estinzione del rapporto.

La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.

Con provvedimento del direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell’ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.

Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione.

Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma.

In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.

Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro certifica l’impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal decreto legislativo n. 80 del 1998 era il seguente:

«Tentativo facoltativo di conciliazione.

«Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo precedente, e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi, può promuovere anche tramite un’associazione sindacale il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione, nella cui circoscrizione si trova l’azienda o una qualsiasi dipendenza di questa, alla quale è addetto il lavoratore, o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.

Con provvedimento del direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell’ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.

Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione.

Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma.

In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.

Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro certifica l’impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione.».

410-bis. Termine per l’espletamento del tentativo di conciliazione (1).

[Il tentativo di conciliazione, anche se nelle forme previste dai contratti e accordi collettivi, deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta.

Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato ai fini dell’articolo 412-bis (2).]

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 37, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e poi abrogato dall’art. 31, comma 16, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 6-13 luglio 2000, n. 276 (Gazz. Uff. 19 luglio 2000, n. 30 – Prima serie speciale) ha dichiarato, tra l’altro, non fondata la questione di legittimità dell’articolo 410-bis del codice di procedura civile, in riferimento agli artt. 24 e 76 Cost. Con la stessa sentenza la Corte ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità dello stesso articolo, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

411. Processo verbale di conciliazione.

Se la conciliazione esperita ai sensi dell’articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.

Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.

Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell’articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto (1).

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(1) Articolo prima sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, poi modificato dall’art. 81, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 e, infine, così sostituito dall’art. 31, comma 3, L. 4 novembre 2010, n. 183. Vedi l’art. 5, L. 11 maggio 1990, n. 108, sulla disciplina dei licenziamenti individuali e il comma 9 del citato art. 31, legge n. 183 del 2010.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla suddetta legge n. 183 del 2010 era il seguente:

«Processo verbale di conciliazione.

Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal presidente del collegio che ha esperito il tentativo, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere.

Il processo verbale è depositato a cura delle parti o dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice su istanza della parte interessata accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal decreto legislativo n. 51 del 1998 era il seguente:

«Processo verbale di conciliazione.

Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal presidente del collegio che ha esperito il tentativo, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere.

Il processo verbale è depositato a cura delle parti o dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione nella cancelleria della pretura nella cui circoscrizione è stato formato. Il pretore, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria della pretura nella cui circoscrizione è stato redatto. Il pretore su istanza della parte interessata accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.».

412. Risoluzione arbitrale della controversia.

In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.

Nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:

1) il termine per l’emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l’incarico deve intendersi revocato;

2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento e dei princìpi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile.

Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto (1).

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(1) Articolo così sostituito prima dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, poi dall’art. 38, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e, infine, dall’art. 31, comma 5, L. 4 novembre 2010, n. 183. Vedi, anche, il comma 9 del citato art. 31, legge n. 183 del 2010.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla suddetta legge n. 183 del 2010 era il seguente:

«Verbale di mancata conciliazione.

Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con l’indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l’ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest’ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni di cui all’articolo 411.

L’Ufficio provinciale del lavoro rilascia alla parte copia del verbale entro cinque giorni dalla richiesta.

Le disposizioni del primo comma si applicano anche al tentativo di conciliazione in sede sindacale.

Delle risultanze del verbale di cui al primo comma il giudice tiene conto in sede di decisione sulle spese del successivo giudizio.».

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dal decreto legislativo n. 80 del 1998 era il seguente: «Processo verbale di mancata conciliazione.

Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale: in esso le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, nella quale concordano, precisando, quando è possibile, l’ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest’ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni di cui all’articolo 411.

L’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione ha l’obbligo di rilasciare, alla parte che ne faccia richiesta, copia del verbale nel termine di cinque giorni.».

412-bis. Procedibilità della domanda (1).

[ L’espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda.

L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all’articolo 416 e può essere rilevata d’ufficio dal giudice non oltre l’udienza di cui all’articolo 420.

Il giudice ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima dei sessanta giorni dalla promozione del tentativo stesso, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione (2).

Trascorso il termine di cui al primo comma dell’articolo 410-bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni (3).

Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d’ufficio l’estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all’articolo 308 (4).

Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d’urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV] (5).]

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 39, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e poi abrogato dall’art. 31, comma 16, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(2) Comma così sostituito dall’art. 19, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387. Il testo precedentemente in vigore così disponeva: «Il giudice, ove rilevi la improcedibilità della domanda, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per proporre la richiesta del tentativo di conciliazione».

(3) Comma così modificato dall’art. 19, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387. Il testo precedentemente in vigore così disponeva: «Trascorso il termine di cui al primo comma dell’articolo 410-bis, il processo può essere riassunto entro i successivo centottanta giorni».

(4) Comma così inserito dall’art. 19, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387.

(5) La Corte costituzionale, con sentenza 6-13 luglio 2000, n. 276 (Gazz. Uff. 19 luglio 2000, n. 30 – Prima serie speciale) ha dichiarato: a) non fondata la questione di legittimità dell’articolo 412-bis del codice di procedura civile, in riferimento agli artt. 24 e 76 Cost.; b) non fondata la questione di legittimità dell’articolo 412-bis, ultimo comma, del codice di procedura civile, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; c) la manifesta inammissibilità dello stesso articolo 412-bis, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

412-ter. Altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva.

La conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative (1).

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 39, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, poi modificato dall’art. 19, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 e, infine, così sostituito dall’art. 31, comma 6, L. 4 novembre 2010, n. 183. Vedi, anche, il comma 9 del citato art. 31, legge n. 183 del 2010. Per il contratto collettivo nazionale quadro in materia di procedure di conciliazione ed arbitrato vedi l’Acc. 23 gennaio 2001.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla suddetta legge n. 183 del 2010 era il seguente:

«Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi.

Se il tentativo di conciliazione non riesce o comunque è decorso il termine previsto per l’espletamento, le parti possono concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l’organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà e stabiliscono:

  1. a) le modalità della richiesta di devoluzione della controversia al collegio arbitrale e il termine entro il quale l’altra parte può aderirvi;
  2. b) la composizione del collegio arbitrale e la procedura per la nomina del presidente e dei componenti;
  3. c) le forme e i modi di espletamento dell’eventuale istruttoria;
  4. d) il termine entro il quale il collegio deve emettere il lodo, dandone comunicazione alle parti interessate;
  5. e) i criteri per la liquidazione dei compensi agli arbitri.

I contratti e accordi collettivi possono, altresì, prevedere l’istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio secondo criteri stabiliti in sede di contrattazione nazionale.

Nella pronuncia del lodo arbitrale si applica l’articolo 429, terzo comma, del codice di procedura civile. Salva diversa previsione della contrattazione collettiva, per la liquidazione delle spese della procedura arbitrale si applicano altresì gli articoli 91, primo comma, e 92 del codice di procedura civile.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal decreto legislativo n. 387 del 1998 era il seguente:

«Arbitrato previsto dai contratti collettivi.

Se il tentativo di conciliazione non riesce o comunque è decorso il termine previsto nel primo comma dell’articolo 410-bis, le parti possono concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l’organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà e stabiliscono:

  1. a) le modalità della richiesta di devoluzione della controversia al collegio arbitrale e il termine entro il quale l’altra parte può aderirvi;
  2. b) la composizione del collegio arbitrale e la procedura per la nomina del presidente e dei componenti;
  3. c) le forme e i modi di espletamento dell’eventuale istruttoria;
  4. d) il termine entro il quale il collegio deve emettere il lodo, dandone comunicazione alle parti interessate;
  5. e) i criteri per la liquidazione dei compensi agli arbitri.

I contratti e accordi collettivi possono, altresì, prevedere l’istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio secondo criteri stabiliti in sede di contrattazione nazionale.

Nella pronuncia del lodo arbitrale si applica l’articolo 429, terzo comma, del codice di procedura civile.

Salva diversa previsione della contrattazione collettiva, per la liquidazione delle spese della procedura arbitrale si applicano altresì gli articoli 91, primo comma, e 92 del codice di procedura civile.».

412-quater. Altre modalità di conciliazione e arbitrato.

Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l’autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all’articolo 409 possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti.

Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.

La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all’altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell’arbitro di parte e indicare l’oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda. Il ricorso deve contenere il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento e dei princìpi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l’altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato. Se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l’indicazione dei mezzi di prova.

Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.

Il collegio fissa il giorno dell’udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima.

All’udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, si applicano le disposizioni dell’articolo 411, commi primo e terzo.

Se la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assumere le prove, altrimenti invita all’immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, l’assunzione delle stesse e la discussione orale.

La controversia è decisa, entro venti giorni dall’udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del codice civile. Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.

Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato nel ricorso ed è versato dalle parti, per metà ciascuna, presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell’udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l’arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell’arbitro di parte, queste ultime nella misura dell’1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.

I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte (1).

———————–

(1) Articolo aggiunto dall’art. 39, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, poi modificato dall’art. 19, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 e, infine, così sostituito dall’art. 31, comma 8, L. 4 novembre 2010, n. 183. Vedi, anche, il comma 9 del citato art. 31, legge n. 183 del 2010.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla suddetta legge n. 183 del 2010 era il seguente:

«Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale.

Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale decide in un unico grado il Tribunale, in funzione del giudice del lavoro, della circoscrizione in cui è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo.

Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal Tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal decreto legislativo n. 387 del 1998 era il seguente:

«Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale.

Il lodo arbitrale è impugnabile per violazione di disposizioni inderogabili di legge e per difetto assoluto di motivazione, con ricorso depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo da parte degli arbitri davanti alla Corte d’appello nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato, in funzione di giudice del lavoro.

Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, il lodo è depositato presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di una associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertandone l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.

La Corte d’appello decide con sentenza provvisoriamente esecutiva ricorribile in cassazione.»

Sezione II

Del procedimento

§ 1 – Del procedimento di primo grado

413. Giudice competente.

Le controversie previste dall’articolo 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro (1).

Competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto (2).

Tale competenza permane dopo il trasferimento dell’azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purché la domanda sia proposta entro sei mesi dal trasferimento o dalla cessazione [c.p.c. 18, 20, 452].

Competente per territorio per le controversie previste dal numero 3) dell’articolo 409 è il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell’agente, del rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al predetto numero 3) dell’articolo 409 (3).

Competente per territorio per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto (4).

Nelle controversie nelle quali è parte una Amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni dell’articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (5).

Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti, si applicano quelle dell’articolo 18.

Sono nulle le clausole derogative della competenza per territorio (6).

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(1) L’originario termine «pretore», già contenuto nel presente comma, è stato sostituito, con l’attuale «tribunale», dall’art. 82, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 18-21 dicembre 1985, n. 361 (Gazz. Uff. 8 gennaio 1986, n. 1, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 413, secondo comma, c.p.c., in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui per le controversie di agenzia esclude la competenza del giudice del luogo dello svolgimento del rapporto, e con sentenza 18-21 dicembre 1985, n. 362 (Gazz. Uff. 8 gennaio 1986, n. 1, serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’art. 413, secondo comma c.p.c. in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 35 e 24 Cost.

(3) Comma aggiunto dall’art. 1, L. 11 febbraio 1992, n. 128, sulla disciplina della competenza territoriale per le controversie relative ai rapporti di collaborazione continuativa e coordinata. Per quanto riguarda le sanzioni amministrative per violazione alle norme in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, vedi l’art. 35, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(4) Comma aggiunto dall’art. 40, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80.

(5) Comma aggiunto dall’art. 40, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80.

(6) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto. Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

La Corte costituzionale, con sentenza 18 giugno-3 luglio 1975, n. 171 (Gazz. Uff. 9 luglio 1975, n. 181), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 413 c.p.c., nel testo dell’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, in riferimento agli artt. 5 e 35 Cost.

Vedi, anche, gli artt. 1 e 4, L. 8 novembre 1977, n. 847.

414. Forma della domanda.

La domanda si propone con ricorso, il quale deve contenere:

  1. l’indicazione del giudice;
  2. il nome, il cognome, nonché la residenza o il domicilio eletto dal ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta nonché la sede del ricorrente o del convenuto;
  3. la determinazione dell’oggetto della domanda;
  4. l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni (1);
  5. l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione (2).

———————–

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 23-29 giugno 1983, n. 192 (Gazz. Uff. 6 luglio 1983, n. 184), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del combinato disposto dell’articolo 1, L. 23 ottobre 1960, n. 1369, dell’art. 414, n. 4, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 13 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 414, 416, 418, 420, commi primo e quinto, e dell’art. 429, comma terzo, c.p.c., come modificati dall’art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533, sul nuovo rito del lavoro, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

415. Deposito del ricorso e decreto di fissazione dell’udienza.

Il ricorso è depositato nella cancelleria del giudice competente insieme con i documenti in esso indicati.

Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa con decreto, l’udienza di discussione, alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente.

Tra il giorno del deposito del ricorso e l’udienza di discussione non devono decorrere più di sessanta giorni.

Il ricorso unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto, a cura dell’attore, entro dieci giorni dalla data di pronuncia del decreto, salvo quanto disposto dall’articolo 417.

Tra la data di notificazione al convenuto e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni.

Il termine di cui al comma precedente è elevato a quaranta giorni e quello di cui al terzo comma è elevato a ottanta giorni nel caso in cui la notificazione prevista dal quarto comma debba effettuarsi all’estero (1).

Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413, il ricorso è notificato direttamente presso l’amministrazione destinataria ai sensi dell’articolo 144, secondo comma. Per le amministrazioni statali o ad esse equiparate, ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, si osservano le disposizioni delle leggi speciali che prescrivono la notificazione presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato competente per territorio (2).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale con sentenza 16-22 aprile 1980, n. 61 (Gazz. Uff. 30 aprile 1980, n. 118), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 416 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24 Cost.; con successiva sentenza 16-22 aprile 1980, n. 62 (Gazz. Uff. 30 aprile 1980, n. 118), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 416 c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. La stessa Corte costituzionale, con sentenza 15-29 ottobre 1987, n. 347 (Gazz. Uff. 11 novembre 1987, n. 47 – Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 415 e 416 c.p.c., in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost.

(2) Comma aggiunto dall’art. 41, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80. Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

416. Costituzione del convenuto.

Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito.

La costituzione del convenuto si effettua mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva, nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare (1).

———————–

(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 13 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 414, 416, 418, 420, commi primo e quinto, 429, comma terzo c.p.c., come modificati dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, sul nuovo rito del lavoro, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con sentenza 4-10 maggio 1979, n. 10 (Gazz. Uff. 16 maggio 1979, n. 133), ha dichiarato inammissibili per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 416, ultimo comma, 420, primo ed ultimo comma, 421, secondo comma, 424, 431, primo ed ultimo comma, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con sentenza 16-22 aprile 1980, n. 61 (Gazz. Uff. 30 aprile 1980, n. 118), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 416 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24 Cost.; con sentenza 16-22 aprile 1980, n. 62 (Gazz. Uff. 30 aprile 1980, n. 118), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 416 c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con sentenza 16-22 aprile 1980, n. 65 (Gazz. Uff. 30 aprile 1980, n. 118), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 416 c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con sentenza 15-29 ottobre 1987, n. 347 (Gazz. Uff. 11 novembre 1987, n. 47 – Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 415 e 416 c.p.c., in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost.

417. Costituzione e difesa personali delle parti.

In primo grado la parte può stare in giudizio personalmente quando il valore della causa non eccede euro 129,11.

La parte che sta in giudizio personalmente [c.p.c. 82] propone la domanda nelle forme di cui all’articolo 414 o si costituisce nelle forme di cui all’articolo 416 con elezione di domicilio nell’ambito del territorio della Repubblica.

Può proporre la domanda anche verbalmente davanti al giudice (1) che ne fa redigere processo verbale.

Il ricorso o il processo verbale con il decreto di fissazione dell’udienza devono essere notificati al convenuto e allo stesso attore a cura della cancelleria entro i termini di cui all’articolo 415.

Alle parti che stanno in giudizio personalmente ogni ulteriore atto o memoria deve essere notificato dalla cancelleria (2).

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(1) Il termine originario «pretore» è stato sostituito, con l’attuale «giudice», dall’art. 83, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto. Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi

417 – bis. Difesa delle pubbliche amministrazioni.

Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413, limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti (1).

Per le amministrazioni statali o ad esse equiparate, ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, la disposizione di cui al comma precedente si applica salvo che l’Avvocatura dello Stato competente per territorio, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, determini di assumere direttamente la trattazione della causa dandone immediata comunicazione ai competenti uffici dell’amministrazione interessata, nonché al Dipartimento della funzione pubblica, anche per l’eventuale emanazione di direttive agli uffici per la gestione del contenzioso del lavoro. In ogni altro caso l’Avvocatura dello Stato trasmette immediatamente, e comunque non oltre 7 giorni dalla notifica degli atti introduttivi, gli atti stessi ai competenti uffici dell’amministrazione interessata per gli adempimenti di cui al comma precedente.

Gli enti locali, anche al fine di realizzare economie di gestione, possono utilizzare le strutture dell’amministrazione civile del Ministero dell’interno, alle quali conferiscono mandato nei limiti di cui al primo comma (2).

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(1) Comma così modificato dall’art. 19, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387. Il testo precedentemente in vigore così disponeva: «Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413, limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi di propri funzionari muniti di mandato generale o speciale per ciascun giudizio.».

(2) Articolo aggiunto dall’art. 42, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80. Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150. In merito al comma 3 del presente articolo il Ministero dell’interno ha fornito chiarimenti con la circolare 7 maggio 1998, n. 2/98 (Gazz. Uff. 27 maggio 1998, n. 121).

418. Notificazione della domanda riconvenzionale.

Il convenuto che abbia proposta una domanda in via riconvenzionale [c.p.c. 36] a norma del secondo comma dell’art. 416 deve, con istanza contenuta nella stessa memoria a pena di decadenza dalla riconvenzionale medesima, chiedere al giudice, che a modifica del decreto di cui al secondo comma dell’articolo 415, pronunci, non oltre cinque giorni, un nuovo decreto per la fissazione dell’udienza.

Tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l’udienza di discussione non devono decorrere più di cinquanta giorni.

Il decreto che fissa l’udienza deve essere notificato all’attore, a cura dell’ufficio unitamente alla memoria difensiva, entro dieci giorni dalla data in cui è stato pronunciato.

Tra la data di notificazione all’attore del decreto pronunciato a norma del primo comma e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni.

Nel caso in cui la notificazione del decreto debba farsi all’estero il termine di cui al secondo comma è elevato a settanta giorni, e quello di cui al comma precedente è elevato a trentacinque giorni (1).


(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 13 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 414, 416, 418, 420, commi primo e quinto, 429, comma terzo, c.p.c., come modificati dall’art. 1 della legge 1973, n. 533, sul nuovo rito del lavoro, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. La stessa Corte, con sentenza 19-31 dicembre 1986, n. 302 (Gazz. Uff. 9 gennaio 1987, n. 2 – Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 420, commi primo e ultimo, c.p.c., in riferimento agli artt. 24, commi primo e secondo, 97, 101 e segg., 3 Cost.

419.Intervento volontario.

Salvo che sia effettuato per l’integrazione necessaria del contraddittorio, l’intervento del terzo ai sensi dell’articolo 105 non può aver luogo oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto, con le modalità previste dagli articoli 414 e 416 in quanto applicabili (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 23-29 giugno 1983, n. 193 (Gazz. Uff. 6 luglio 1983, n. 184), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 419 (sub art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533), c.p.c., nella parte in cui, ove un terzo spieghi intervento volontario, non attribuisce al giudice il potere-dovere (di) fissare – con il rispetto del termine di cui all’art. 415, comma quinto (elevabile a quaranta giorni allorquando la notificazione ad alcune delle parti originarie contumaci debba effettuarsi all’estero) – una nuova udienza, non meno di dieci giorni prima della quale potranno le parti originarie depositare memorie, e di disporre che, entro cinque giorni, siano notificati alle parti originarie il provvedimento di fissazione e la memoria dell’interveniente, e che sia notificato a quest’ultimo il provvedimento di fissazione della nuova udienza. Vedi, anche, l’art. 68-bis, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.

420. Udienza di discussione della causa.

Nell’udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva o conciliativa. La mancata comparizione personale delle parti, o il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate previa autorizzazione del giudice (1).

Le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia [c.p.c. 84]. La mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata dal giudice ai fini della decisione.

Il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo [c.p.c. 474].

Se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo.

Nella stessa udienza ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti, disponendo, con ordinanza resa nell’udienza, per la loro immediata assunzione.

Qualora ciò non sia possibile, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima, concedendo alle parti, ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell’udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive.

Nel caso in cui vengano ammessi nuovi mezzi di prova, a norma del quinto comma, la controparte può dedurre i mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi, con assegnazione di un termine perentorio di cinque giorni. Nell’udienza fissata a norma del precedente comma il giudice ammette, se rilevanti, i nuovi mezzi di prova dedotti dalla controparte e provvede alla loro assunzione.

L’assunzione delle prove deve essere esaurita nella stessa udienza o, in caso di necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi.

Nel caso di chiamata in causa a norma degli articoli 102, secondo comma, 106 e 107, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che, entro cinque giorni, siano notificati al terzo il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l’atto di costituzione del convenuto, osservati i termini di cui ai commi terzo, quinto e sesto dell’articolo 415. Il termine massimo entro il quale deve tenersi la nuova udienza decorre dalla pronuncia del provvedimento di fissazione.

Il terzo chiamato deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell’udienza fissata, depositando la propria memoria a norma dell’articolo 416.

A tutte le notificazioni e comunicazioni occorrenti provvede l’ufficio.

Le udienze di mero rinvio sono vietate (2).

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(1) Comma così modificato prima dall’art. 31, comma 4, L. 4 novembre 2010, n. 183 e poi dall’art. 77, comma 1, lett. b), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal citato D.L. n. 69/2013 era il seguente:

«Nell’udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva. La mancata comparizione personale delle parti, o il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate previa autorizzazione del giudice.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dalla suddetta L. n. 183/2010 era il seguente:

«Nell’udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione della lite. La mancata comparizione personale delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate previa autorizzazione del giudice.».

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 13 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 414, 416, 418, 420, commi primo e quinto, 429, comma terzo, c.p.c., come modificati dall’art. 1 della legge 1973, n. 533, sul nuovo rito del lavoro, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 14 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 420 c.p.c., come modificato dall’art. 1 della L. 1973 citata, in riferimento all’art. 3 Cost. La stessa Corte, con sentenza 4-10 maggio 1979, n. 10 (Gazz. Uff. 16 maggio 1979, n. 133), ha dichiarato inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità degli artt. 416, ultimo comma, 420, primo ed ultimo comma, 421, secondo comma, 424, 431, primo ed ultimo comma, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. La Corte costituzionale, con sentenza 19-31 dicembre 1986, n. 302 (Gazz. Uff. 9 gennaio 1987, n. 2 – Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 420, commi primo e ultimo, c.p.c., in riferimento agli artt. 24, commi primo e secondo, 97, 101 e segg., 3 Cost. Con successiva sentenza 19-31 dicembre 1986, n. 302 (Gazz. Uff. 9 gennaio 1987, n. 2 – Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 420, commi primo e ultimo, c.p.c., in riferimento agli artt. 24, commi primo e secondo 97, 101 e segg., 3 Cost.

420-bis. Accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi.

Quando per la definizione di una controversia di cui all’articolo 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni.

La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza.

Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito [disp. att. c.p.c. 146-bis] (1).

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 18, D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150. L’art. 27 del citato decreto legislativo n. 40 del 2006 così dispone:

«27. Disciplina transitoria.

  1. Gli articoli 1 e 19, comma 1, lettera f), si applicano ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tuttavia, ai provvedimenti del giudice di pace pubblicati entro la data di entrata in vigore del presente decreto, si applica la disciplina previgente.
  2. Le restanti disposizioni del Capo I si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
  3. Le disposizioni dell’articolo 20 si applicano alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la data di entrata in vigore del presente decreto.
  4. Le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
  5. Le disposizioni dell’articolo 26 si applicano alle ordinanze pronunciate ed alle sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto.».

421. Poteri istruttori del giudice.

Il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti.

Può altresì disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova [c.p.c. 191, 244], anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti. Si osserva la disposizione del comma sesto dell’articolo 420 (1).

Dispone, su istanza di parte, l’accesso sul luogo di lavoro, purché necessario al fine dell’accertamento dei fatti e dispone altresì, se ne ravvisa l’utilità l’esame dei testimoni sul luogo stesso (2).

Il giudice, ove lo ritenga necessario, può ordinare la comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti della causa, anche di quelle persone che siano incapaci di testimoniare a norma dell’articolo 246 o a cui sia vietato a norma dell’articolo 247 (3).

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(1) Comma così modificato dal comma 1 dell’art. 53, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge, con modificazioni, con L. 6 agosto 2008, n. 133. Vedi, anche, il comma 4 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

Il testo in vigore prima della modifica disposta dal citato comma 1 era il seguente: «Può altresì disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti. Si osserva la disposizione del comma sesto dell’articolo precedente».

(2) Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(3) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-10 maggio 1979, n. 10 (Gazz. Uff. 16 maggio 1979, n. 133), ha dichiarato inammissibili per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionali degli artt. 416, ultimo comma, 420, primo ed ultimo comma, 421, secondo comma, 424, 431, primo ed ultimo comma, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con successiva sentenza 16-22 aprile 1980, n. 64 (Gazz. Uff. 30 aprile 1980, n. 118), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 421, quarto comma c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

422. Registrazione su nastro.

Il giudice può autorizzare la sostituzione della verbalizzazione da parte del cancelliere con la registrazione su nastro delle deposizioni di testi e delle audizioni delle parti o di consulenti (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

423. Ordinanze per il pagamento di somme.

Il giudice, su istanza di parte, in ogni stato del giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate.

Egualmente, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova (1).

Le ordinanze di cui ai commi precedenti costituiscono titolo esecutivo.

L’ordinanza di cui al secondo comma è revocabile con la sentenza che decide la causa (2).

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(1) Vedi, anche, il comma 2 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 16 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato non fondata, la questione di legittimità dell’art. 423, c.p.c., modificato dall’art. 1 della L. 1973, n. 533, in riferimento all’art. 3 Cost. La stessa Corte costituzionale, con sentenza 3 aprile-6 maggio 1981, n. 76 (Gazz. Uff. 3 giugno 1981, n. 151), ha dichiarato, fra l’altro, inammissibili perché irrilevanti le questioni di legittimità degli artt. 277, 423, 429 e 431 c.p.c., in riferimento all’art. 3 Cost.

424. Assistenza del consulente tecnico.

Se la natura della controversia lo richiede, il giudice, in qualsiasi momento, nomina uno o più consulenti tecnici, scelti in albi speciali, a norma dell’articolo 61. A tal fine il giudice può disporre ai sensi del sesto comma dell’articolo 420.

Il consulente può essere autorizzato a riferire verbalmente ed in tal caso le sue dichiarazioni sono integralmente raccolte a verbale, salvo quanto previsto dal precedente articolo 422.

Se il consulente chiede di presentare relazione scritta, il giudice fissa un termine non superiore a venti giorni, non prorogabile, rinviando la trattazione ad altra udienza (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-10 maggio 1979, n. 10 (Gazz. Uff. 16 maggio 1979, n. 133), ha dichiarato inammissibili per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionali degli artt. 416, ultimo comma, 420, primo ed ultimo comma, 421, secondo comma, 424, 431, primo ed ultimo comma, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con successiva sentenza 16-22 aprile 1980, n. 64 (Gazz. Uff. 30 aprile 1980, n. 118), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 421, quarto comma c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

425. Richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali.

Su istanza di parte, l’associazione sindacale indicata dalla stessa ha facoltà di rendere in giudizio, tramite un suo rappresentante, informazioni e osservazioni orali o scritte.

Tali informazioni e osservazioni possono essere rese anche nel luogo di lavoro ove sia stato disposto l’accesso ai sensi del terzo comma dell’articolo 421.

A tal fine il giudice può disporre ai sensi del sesto comma dell’articolo 420.

Il giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti e accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto. Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

426. Passaggio dal rito ordinario al rito speciale.

Il giudice (1), quando rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti previsti dall’articolo 409, fissa con ordinanza l’udienza di cui all’articolo 420 e il termine perentorio [c.p.c. 153] entro il quale le parti dovranno provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria.

Nell’udienza come sopra fissata provvede a norma degli articoli che precedono (2).

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(1) L’originario termine «pretore» è stato sostituito, con l’attuale «giudice», dall’art. 83, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 14 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato, fra l’altro, l’illegittimità del combinato disposto dell’art. 426 c.p.c., come modificato dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533 e dell’art. 20 della legge medesima, nella parte in cui, con riguardo alle cause pendenti al momento dell’entrata in vigore della legge, non è prevista la comunicazione anche alla parte contumace dell’ordinanza che fissa l’udienza di discussione ed il termine perentorio per l’integrazione degli atti.

Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

427. Passaggio dal rito speciale al rito ordinario.

Il giudice (1), quando rileva che una causa promossa nelle forme stabilite dal presente capo riguarda un rapporto diverso da quelli previsti dall’articolo 409, se la causa stessa rientra nella sua competenza dispone che gli atti siano messi in regola con le disposizioni tributarie, altrimenti la rimette con ordinanza al giudice competente, fissando un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la riassunzione con il rito ordinario.

In tal caso le prove acquisite durante lo stato di rito speciale avranno l’efficacia consentita dalle norme ordinarie [c.p.c. 191] (2).

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(1) L’originario termine «pretore» è stato sostituito, con l’attuale «giudice», dall’art. 83, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto. Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

428. Incompetenza del giudice.

Quando una causa relativa ai rapporti di cui all’articolo 409 sia stata proposta a giudice incompetente, l’incompetenza può essere eccepita dal convenuto soltanto nella memoria difensiva di cui all’articolo 416 ovvero rilevata d’ufficio dal giudice non oltre l’udienza di cui all’articolo 420.

Quando l’incompetenza sia stata eccepita o rilevata ai sensi del comma precedente, il giudice rimette la causa al tribunale (1) in funzione di giudice del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la riassunzione con rito speciale (2).

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(1) L’originario termine «pretore» è stato sostituito, con l’attuale «tribunale», dall’art. 84, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

429. Pronuncia della sentenza.

Nell’udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza (1).

Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza.

Il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto (2)(3).

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(1) Comma così sostituito dal comma 2 dell’art. 53, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge, con modificazioni, con L. 6 agosto 2008, n. 133.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dal citato comma 2 era il seguente:

«Nella udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo.».

(2) Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(3) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto. Le disposizioni di cui al presente articolo, come modificato dal comma 2 dell’art. 53, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge, con modificazioni, con L. 6 agosto 2008, n. 133, si applicano ai giudizi instaurati dall’entrata in vigore del citato decreto, ai sensi di quanto disposto dall’art. 56 dello stesso decreto.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 13 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato non fondate, le questioni di legittimità degli artt. 414, 416, 418, 420, commi primo e quinto, e dell’art. 429, comma terzo, c.p.c., come modificati dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost; con sentenza 4-20 gennaio 1977, n. 43 (Gazz. Uff. 26 gennaio 1977, n. 24), 22-29 dicembre 1977, n. 161 (Gazz. Uff. 4 gennaio 1978, n. 4) e 12-18 giugno 1979, n. 45 (Gazz. Uff. 27 giugno 1979, n. 175), ha poi dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 429, comma terzo, c.p.c., in riferimento all’art. 3 Cost.; con successiva sentenza 22-29 dicembre 1977, n. 162 (Gazz. Uff. 4 gennaio 1978, n. 4), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 429, comma terzo, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.; con sentenza 3 aprile-26 maggio 1981, n. 71 (Gazz. Uff. 3 giugno 1981, n. 151), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 429, comma terzo, c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 35, comma primo e 36 Cost. e con sentenza 3 aprile-26 maggio 1981, n. 76 (Gazz. Uff. 3 giugno 1981, n. 151), ha dichiarato fra l’altro: a) inammissibili perché irrilevanti le questioni di legittimità degli artt. 277, 423, 429 e 431 c.p.c., in riferimento all’art. 3 Cost.; b) manifestamente infondata la questione di legittimità degli artt. 409 e 429 c.p.c., in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 35 Cost. Con sentenza 25 giugno-21 luglio 1981, n. 139 (Gazz. Uff. 29 luglio 1981, n. 207), ha dichiarato, fra l’altro, non fondata la questione di legittimità della normativa risultante dal coordinato disposto degli artt. 429, comma terzo, c.p.c. e 59, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in riferimento all’art. 36 Cost. Con sentenza 24 marzo-7 aprile 1988, n. 408 (Gazz. Uff. 26 aprile 1988, n. 16 – Prima serie speciale), ha dichiarato: a) in alcuni sensi inammissibili e in altri sensi infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1224 c.c., e dell’art. 429, terzo comma, c.p.c. e dell’art. 150 disp. att. c.p.c., in riferimento agli articoli 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, 24 e 113 Cost.; b) non fondata, nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1224, secondo comma, e dell’art. 429, terzo comma c.p.c., in riferimento all’art. 3 Cost.

La Corte costituzionale, con sentenza 11-20 luglio 1990, n. 350 (Gazz. Uff. 1 agosto 1990, n. 31 – Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’art. 429, terzo comma, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost. Con altra sentenza 12-28 dicembre 1990, n. 585 (Gazz. Uff. 9 gennaio 1991, n. 2 – Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’art. 1224 c.c., e dell’art. 429, terzo comma, c.p.c., e dell’art.150 disp. trans. c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 Cost. Successivamente, con sentenza 23 maggio-2 giugno 1994, n. 207 (Gazz. Uff. 8 giugno 1994, n. 24 – Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale del terzo comma del presente articolo.

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430. Deposito della sentenza.

La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia. Il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto. Vedi l’art. 14, L. 3 aprile 1979, n. 103, sull’Avvocatura dello Stato.

431. Esecutorietà della sentenza.

Le sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all’articolo 409 sono provvisoriamente esecutive (1).

All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza (2).

Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all’altra parte gravissimo danno [c.p.c. 351] (3).

La sospensione disposta a norma del comma precedente può essere anche parziale e, in ogni caso, l’esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di euro 258,23 (4)(5).

Le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro sono provvisoriamente esecutive e sono soggette alla disciplina degli articoli 282 e 283 (6) (7).

Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa in tutto o in parte quando ricorrono gravi motivi (8) (9).

Se l’istanza per la sospensione di cui al terzo ed al sesto comma è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio (10).

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(1) Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(2) Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(3) Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(4) Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(5) Il testo originario dell’articolo è stato sostituito con i primi quattro commi dell’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo IV. La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 170 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità dell’art. 431 c.p.c., come modificato dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con sentenza 4-10 maggio 1979, n. 10 (Gazz. Uff. 16 maggio 1979, n. 133), ha dichiarato inammissibili per difetto di rilevanza le questioni di legittimità degli artt. 416, ultimo comma, 420, primo ed ultimo comma, degli artt. 421, secondo comma, 424, 431, primo ed ultimo comma, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; la stessa Corte, con sentenza 16-22 aprile 1980, n. 63 (Gazz. Uff. 30 aprile 1980, n. 118), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 431, terzo comma, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con sentenza 3 aprile-26 maggio 1981, n. 76 (Gazz. Uff. 3 giugno 1981, n. 151), ha dichiarato, fra l’altro, inammissibili perché irrilevanti le questioni di legittimità degli artt. 277, 423, 429 e 431 c.p.c., in riferimento all’art. 3 Cost.

(6) Comma aggiunto dall’art. 69, L. 26 novembre 1990, n. 353, in vigore dal 1° gennaio 1993 per effetto dell’art. 92 della citata legge, come modificato dall’art. 2, L. 4 dicembre 1992, n. 477. Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti, ai sensi del citato art. 92, come modificato, da ultimo, dall’art. 6, D.L. 7 ottobre 1994, n. 571 convertito, con modificazioni, con L. 6 dicembre 1994, n. 673. L’art. 90, secondo comma, della suddetta legge n. 353 del 1990, come sostituito dall’art. 9, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito in legge, con modificazioni, con L. 20 dicembre 1995, n. 534 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 296), ha così disposto: «Gli articoli 282, 283, 337, comma primo, e 431, commi quinto e sesto, del codice di procedura civile, come modificati dalla presente legge, si applicano ai giudizi iniziati dopo il 1° gennaio 1993, nonché alle sentenze pubblicate dopo il 19 aprile 1995». Il secondo comma dell’art. 1 della suddetta legge n. 534 del 1995 ha disposto che restino validi gli atti e i provvedimenti adottati e siano fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del D.L. 21 aprile 1995, n. 121, del D.L. 21 giugno 1995, n. 238 e del D.L. 9 agosto 1995, n. 347, non convertiti in legge.

(7) Vedi, anche, il comma 3 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(8) Comma aggiunto dall’art. 69, L. 26 novembre 1990, n. 353, in vigore dal 1° gennaio 1993 per effetto dell’art. 92 della citata legge, come modificato dall’art. 2, L. 4 dicembre 1992, n. 477. Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti, ai sensi del citato art. 92, come modificato, da ultimo, dall’art. 6, D.L. 7 ottobre 1994, n. 571 convertito, con modificazioni, con L. 6 dicembre 1994, n. 673. L’art. 90, secondo comma, della suddetta legge n. 353 del 1990, come sostituito dall’art. 9, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito in legge, con modificazioni, con L. 20 dicembre 1995, n. 534 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 296), ha così disposto: «Gli articoli 282, 283, 337, comma primo, e 431, commi quinto e sesto, del codice di procedura civile, come modificati dalla presente legge, si applicano ai giudizi iniziati dopo il 1° gennaio 1993, nonché alle sentenze pubblicate dopo il 19 aprile 1995». Il secondo comma dell’art. 1 della suddetta legge n. 534 del 1995 ha disposto che restino validi gli atti e i provvedimenti adottati e siano fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del D.L. 21 aprile 1995, n. 121, del D.L. 21 giugno 1995, n. 238 e del D.L. 9 agosto 1995, n. 347, non convertiti in legge.

(9) Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(10) Comma aggiunto dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 27, L. 12 novembre 2011, n. 183 in vigore dal 1° gennaio 2012 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 36 della medesima legge n. 183/2011. Le disposizioni del presente comma, come modificate dalla legge n. 183 del 2011, si applicano dal 1° febbraio 2012 in virtù del comma 2 del citato art. 27, legge n. 183/2011.

432. Valutazione equitativa delle prestazioni.

Quando sia certo il diritto ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice la liquida con valutazione equitativa [c.c. 1226] (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto

§ 2 – Delle impugnazioni

433. Giudice d’appello.

L’appello contro le sentenze pronunciate nei processi relativi alle controversie previste nell’articolo 409 deve essere proposto con ricorso davanti alla corte di appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro (1).

Ove l’esecuzione sia iniziata, prima della notificazione della sentenza, l’appello può essere proposto con riserva dei motivi che dovranno essere presentati nel termine di cui all’articolo 434 (2).

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(1) Comma così modificato dall’art. 85, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188. Il testo precedentemente in vigore così disponeva: «L’appello contro le sentenze pronunciate nei processi relativi alle controversie previste nell’articolo 409 deve essere proposto con ricorso davanti al tribunale territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro».

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto. Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150. Vedi, anche, l’art. 134-bis, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, introdotto dall’art. 2, D.L. 24 maggio 1999, n. 145.

434. Deposito del ricorso in appello.

Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’articolo 414. L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:

1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata (1).

Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della corte di appello entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, oppure entro quaranta giorni nel caso in cui la notificazione abbia dovuto effettuarsi all’estero (2).

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(1) Comma così sostituito dalla lett. c-bis) del comma 1 dell’art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Per i termini di applicabilità delle disposizioni del presente comma vedi il comma 2 del citato articolo 54.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Il ricorso deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione, nonché le indicazioni prescritte dall’articolo 414.».

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto. Successivamente il secondo comma è stato così modificato dall’art. 85, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188.

Il testo del suddetto secondo comma, in vigore prima di quest’ultima modifica, era il seguente: «Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria del tribunale entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, oppure entro quaranta giorni nel caso in cui la notificazione abbia dovuto effettuarsi all’estero».

La Corte costituzionale, con sentenza 6-13 marzo 1974, n. 62 (Gazz. Uff. 20 marzo 1974, n. 75), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 434, secondo comma, c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 35 Cost.; con sentenza 18 giugno-3 luglio 1975, n. 181, aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 434, cpv., c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 35 Cost.

435. Decreto del presidente.

Il presidente della corte di appello entro cinque giorni dalla data di deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l’udienza di discussione dinanzi al collegio (1).

L’appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica del ricorso e del decreto all’appellato (2).

Tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni.

Nel caso in cui la notificazione prevista dal secondo comma deve effettuarsi all’estero, i termini di cui al primo e al terzo comma sono elevati, rispettivamente a ottanta e sessanta giorni (3).

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(1) Comma così modificato dall’art. 85, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188. Il testo precedentemente in vigore così disponeva: «Il presidente del tribunale entro cinque giorni dalla data di deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l’udienza di discussione dinanzi al collegio».

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 4-14 gennaio 1977, n. 15 (Gazz. Uff. 19 gennaio 1977, n. 17), ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 435, comma secondo, c.p.c., come modificato dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533 nella parte in cui non dispone che l’avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione sia comunicato all’appellante e che da tale comunicazione decorra il termine per la notificazione all’appellato.

(3) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

436. Costituzione dell’appellato e appello incidentale.

L’appellato deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza.

La costituzione dell’appellato si effettua mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese.

Se propone appello incidentale [c.p.c. 333, 334], l’appellato deve esporre nella stessa memoria i motivi specifici su cui fonda l’impugnazione. L’appello incidentale deve essere proposto, a pena di decadenza nella memoria di costituzione, da notificarsi, a cura dell’appellato, alla controparte almeno dieci giorni prima della udienza fissata a norma dell’articolo precedente.

Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell’articolo 416 (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

436-bis. Inammissibilità dell’appello e pronuncia (1).

All’udienza di discussione si applicano gli articoli 348-bis e 348-ter.

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(1) Articolo aggiunto dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Per i termini di applicabilità delle disposizioni del presente articolo vedi il comma 2 del citato articolo 54.

437. Udienza di discussione.

Nell’udienza il giudice incaricato fa la relazione orale della causa. Il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza.

Non sono ammesse nuove domande ed eccezioni. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. E’ salva la facoltà delle parti di deferire il giuramento decisorio in qualsiasi momento della causa (1).

Qualora ammetta le nuove prove, il collegio fissa entro venti giorni, l’udienza nella quale esse debbono essere assunte e deve essere pronunciata la sentenza. In tal caso il collegio con la stessa ordinanza può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 423.

Sono applicabili le disposizioni di cui ai commi secondo e terzo, dell’articolo 429 (2).

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 14-26 gennaio 1988, n. 82 (Gazz. Uff. 10 febbraio 1988, n. 6 – Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità degli articoli 437, secondo comma, c.p.c., e 20, primo comma, L. 11 agosto 1973, n. 533, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

438. Deposito della sentenza di appello.

Il deposito della sentenza di appello è effettuato con l’osservanza delle norme di cui all’articolo 430.

Si applica il disposto del secondo comma dell’articolo 431 (1)(2).

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(1) Il presente comma non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto

  1. Cambiamento del rito in appello.

La corte di appello, se ritiene che il procedimento in primo grado non si sia svolto secondo il rito prescritto, procede a norma degliarticoli 426 e 427 (1).

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(1) Articolo prima sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto e poi così modificato dall’art.85, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto dispostodall’art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188. Il presente articolo non si applica nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, salvo che esso sia espressamente richiamato, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150. Il testo in vigore prima della modifica disposta dal citato decreto legislativo n. 51 del 1998 era il seguente: «Cambiamento del rito in appello. Il tribunale, se ritiene che il procedimento in primo grado non si sia svolto secondo il rito prescritto, procede a norma degli articoli 426 e 427».

440. Appellabilità delle sentenze.

Sono inappellabili le sentenze che hanno deciso una controversia di valore non superiore a euro 25,82 (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.

441. Consulente tecnico in appello.

Il collegio, nell’udienza di cui al primo comma dell’articolo 437, può nominare un consulente tecnico [c.p.c. 61] rinviando ad altra udienza da fissarsi non oltre trenta giorni. In tal caso con la stessa ordinanza può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 423.

Il consulente deve depositare il proprio parere almeno dieci giorni prima della nuova udienza (1).

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(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 11 agosto 1973, n. 533, che ha modificato l’intero titolo quarto.