Cass. sez. lav., 22.4.2002, n. 5827 – Art. 1751 c.c. – Indennità di cessazione – Quantificazione

(Omissis) Per quanto riguarda il quantum della indennità di cessazione del contratto di agenzia, appare opportuno premettere alcune considerazioni di carattere generale. L’art. 1751 del codice civile, nella sua originaria formulazione, prevedeva l’indennità per lo scioglimento del contratto di agenzia per fatto non imputabile all’agente. La norma è stata modificata dalla legge 15 ottobre 1971 n. 911 che ha esteso il diritto all’indennità ad ogni ipotesi di risoluzione del contratto di agenzia, ma la modifica è in pratica venuta meno a seguito del D.L.vo 10 settembre 1991 n. 303 che, in attuazione della direttiva comunitaria n. 86-653, ha escluso l’indennità in caso di dimissioni di quest’ultimo non dovute a ragioni di età o malattia. L’indennità svolge una duplice funzione di risarcimento del danno subito dall’agente a seguito della cessazione del rapporto e di pagamento di un corrispettivo per l’incremento patrimoniale apportato dall’agente all’azienda del preponente. La giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto che anche essa, come la indennità sostitutiva del preavviso (e a differenza dell’indennità suppletiva di clientela) abbia carattere inderogabile (Cass. 11 novembre 1988 n. 6114, 26 aprile 1991 n. 4586). Il principio è stato accolto dal D.L.vo n. 303 del 1991 che ha espressamente affermato che tutte le disposizioni dell’art. 1751 codice civile sono inderogabili a danno dell’agente (Cass. 5795 del 1994). L’art. 19 della direttiva comunitaria vieta alle parti del contratto di agenzia di derogare, prima della sua scadenza, in danno dell’agente commerciale, ai precedenti articoli 17 e 18 che stabiliscono le indennità di fine rapporto. La direttiva non impedisce, tuttavia, una modificazione pattizia che non sia pregiudizievole per l’agente. La giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che, se una tale pattuizione è concessa a modifica di un contratto già concluso, a fortiori deve ritenersi consentita una deroga, non in peius, rispetto alla disciplina legale, in sede di conclusione del contratto (Cass. 11402 del 2000 cit.). Sta di fatto che il nostro legislatore, nel recepire la norma comunitaria (art. 1751, comma 6 , codice civile, come sostituito dall’art. 4 del Decreto Legislativo n. 303 del 1991), ha omesso l’inciso – prima della scadenza del contratto – sancendo semplicemente che le disposizioni di cui allo stesso articolo sono inderogabili a svantaggio dell’agente. Secondo la sentenza impugnata, la (nuova) disciplina in materia di indennità di fine rapporto non sarebbe invece derogabile nè per accordo diretto delle parti nè tramite accordo collettivo, neppure se l’accordo collettivo fosse in concreto più favorevole all’agente. Tali considerazioni non sono condivise dal Collegio, in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, la quale ritiene sempre possibile una deroga pattizia, purché questa non comporti un trattamento inferiore a quello previsto dalla legge, in materia di determinazione della indennità di cessazione del contratto. Non essendo tuttavia la inderogabilità assoluta, deve ritenersi consentita sia alla contrattazione collettiva, sia alle stesse parti (come appunto è avvenuto nel caso di specie) la possibilità di introdurre una deroga alla disciplina legale non pregiudizievole per l’agente, nei limiti eventualmente desumibili dalla “ratio” della direttiva comunitaria e delle norme interne di attuazione (Cass. 11 agosto 2000 n. 10659 e 30 agosto 2000 n. 11402). Orbene, nella prima delle due decisioni ora richiamate, questa Corte, pur dichiarando l’inammissibilità del ricorso per la mancata trascrizione del testo dell’accordo economico collettivo, ha affermato che la disciplina dell’indennità dovuta all’agente in caso di cessazione del rapporto, a norma dell’art. 1751 codice civile, deve ritenersi derogabile – oltre che da parte dei contratti individuali – anche ad opera della contrattazione collettiva, nei limiti indicati dalla stessa legge. Tale osservazione non può essere interpretata, tuttavia, come un esplicito riconoscimento della validità dei cosiddetti “accordi ponte”, considerato che la stessa non è altro che un obiter dictum, all’interno di una decisione che non ha ritenuto di dovere prendere posizione specifica sul tema sottoposto al suo esame. (Omissis)