Cass. 11.6.2015, n. 12127 – Patto di non concorrenza – Validità – Limiti
Con il d. lgs. n. 303 del 1991, art. 5 (di attuazione della direttiva n. 86/653/CEE), è stato inserito nel codice civile l’art. 1751-bis, sul patto di non concorrenza, con il seguente testo: “il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo svolgimento del contratto deve farsi per iscritto. Esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all’estinzione del contratto”.
La suddetta disposizione, in base all’art. 6 del decreto legislativo medesimo, si applica anche ai contratti in corso di esecuzione al 1° gennaio 1990, come quello in controversia, stipulato nel 1983, per il quale non può farsi applicazione dell’art. 2596 c.c., cui la giurisprudenza faceva riferimento in precedenza per la disciplina dei limiti dello svolgimento dell’attività dell’agente per il tempo successivo alla cessazione del contratto di agenzia (da ultimo Cass. n. 4461 del 2015; conformi: Cass. n.8295 del 2012, Cass. n. 14454 del 2000; Cass. n. 11003 del 1997).
Con la successiva I. 29 dicembre 2000, n. 422, art. 23 (entrata in vigore il 4 febbraio 2001) è stato stabilito di aggiungere un secondo comma all’art. 1751-bis c.c. del seguente tenore: “L’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale. L’indennità va commisurata alla durata, non superiore a due anni dopo l’estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all’indennità di fine rapporto. La determinazione della indennità in base ai parametri di cui al precedente periodo è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria. In difetto di accordo l’indennità è determinata dal giudice in via equitativa anche con riferimento: 1) alla media dei corrispettivi riscossi dall’agente in pendenza di contratto ed alla loro incidenza sul volume d’affari complessivo nello stesso periodo; 2) alle cause di cessazione del contratto di agenzia; 3) all’ampiezza della zona assegnata all’agente; 4) all’esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente”.
Lo stesso art. 23 ha stabilito che le suindicate disposizioni – efficaci a partire dal 1° giugno 2001 – si applicano esclusivamente agli agenti che esercitano in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con un solo socio, nonché, ove previsto da accordi economici nazionali di categoria, a società di capitali costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali.
7.2. – Per un primo aspetto la società lamenta “la genericità assoluta” del patto di non concorrenza contenuto nel punto n. 10 del contratto individuale di agenzia, difettando esso del requisiti di cui al comma 1 dell’art. 1751 bis c.c.in punto di indicazione di “zona, clientela e genere di beni e servizi”; dalla non conformità di tale patto al modello delineato dalla disposizione codicistica citata al primo comma deriverebbe l’inapplicabilità del secondo comma che prevede l’erogazione di un corrispettivo.
Tale doglianza non può trovare accoglimento.
Si pone questione delle conseguenze derivanti dalla stipulazione di un patto di non concorrenza, collegato ad un contratto di agenzia, in pretesa violazione della disposizione dettata dall’art. 1751 bis, co. 1, c.c., pacificamente applicabile alla fattispecie ai sensi dell’art. 6 del d. Igs. n. 303/91 cit., trattandosi di rapporto in corso di esecuzione al 1° gennaio 1990.
Testualmente detta norma, dopo aver prescritto che il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo svolgimento del contratto deve farsi per iscritto, sancisce che “esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all’estinzione del contratto”.
Dal tenore testuale della disposizione non si evince che esso prescriva contenuti essenziali del patto a pena di nullità, bensì che esso non può eccedere i limiti posti dalla norma medesima a tutela della libertà negoziale dell’agente per il periodo successivo all’estinzione del contratto; la ratio è quella di evitare una eccessiva compressione della libertà individuale nello svolgimento di un’attività finalizzata al soddisfacimento di esigenze primarie di vita.
Ciò si traduce nel divieto di limitare la concorrenza a zone, tipologie di clienti, genere di beni e servizi, che non costituissero già oggetto del contratto di agenzia cessato, ovvero di prolungare la restrizione oltre un certo lasso temporale.
Ben diversa la formulazione letterale dell’art. 2125 c.c., secondo cui “il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo” (su cui v. Cass. n. 5691 del 2002 e giurisprudenza ivi citata, oltre che Cass. n. 10062 del 1994), così come il dato testuale del più generale art. 2596 c.c., per il quale il patto che limita la concorrenza, salva la prescrizione formale ad probationem, “è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni” (su cui v. da ultimo Cass. n. 7141 del 2013).
Secondo l’art 20 della Direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, “Un patto di non concorrenza è valido solo nella misura in cui: a) sia stipulato per iscritto; b) riguardi il settore geografico o il gruppo di persone e il settore geografico affidati all’agente commerciale, nonché le merci di cui l’agente commerciale aveva la rappresentanza ai sensi del contratto”, ed è “valido solo per un periodo massimo di due anni dopo l’estinzione del contratto”.
Anche per la disciplina dell’Unione europea, dunque, il patto di non concorrenza è valido e produce i suoi effetti sino al punto in cui non eccede la misura definita dall’art. 20 citato; ove oltrepassi tale misura il patto è invalido e non produce i suoi effetti per la parte eccedente.
Pertanto la mancata specificazione nell’accordo tra agente e preponente della zona, della clientela o della tipologia di prodotti e servizi, di per sé, non può determinare – come pretenderebbe parte ricorrente – l’invalidità dell’intero negozio, fuori del caso in cui, non oggetto del presente contenzioso, dopo aver proceduto all’interpretazione del contratto, si giunga al risultato esegetico che lo stesso manchi nell’oggetto dei requisiti di determinatezza o determinabilità (art. 1421 c.c. in combinato disposto con l’art. 1346 c.c.).
Resta fermo che, ove il patto ecceda i limiti imposti dal comma in esame, per stabilire se, a norma dell’art. 1419, co. 1, c.c., la nullità di una parte del contratto comporti la nullità del tutto ovvero se debba operare il principio utile non inutile non vitiatur, la scindibilità del contratto deve essere valutata attraverso la potenziale volontà delle parti (per come operare tale giudizio al fine di stabilire l’ambito di incidenza dell’impedimento opposto dalla nullità e l’eventualità della sua propagazione a tutto il negozio v., analiticamente, Cass. n. 11749 del 2012).
Occorre quindi, per tale aspetto, dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte che ha già ha avallato interpretazioni dei giudici di merito secondo cui il patto di non concorrenza inserito in un contratto di agenzia può, ai sensi dell’art. 1751 bis c.c., co. 1, c.c., operare soltanto per la medesima zona e clientela per le quali era stato concluso il contratto ed è nullo solo per la parte eventualmente eccedente (Cass. n. 27839 del 2009; conforme: Cass. n. 19586 del 2010; Cass. n. 8295 del 2012).