Normativa lavoristica (Contributo)
Se indubbiamente l’agenzia mantiene una propria individualità giuridica, conseguente alla precisa determinazione dei suoi caratteri qualificanti individuati dagli art. 1742 e ss. c.c., ciò non significa escludere una sia pur parziale affinità tra le indicate figure contrattuali; affinità scaturenti dalla presenza di indubbi punti di contatto che esistono tra tale contratto con la diversa fattispecie del lavoro subordinato.
La stabilità del rapporto di collaborazione tra agente e preponente come anche l’obbligo dell’agente medesimo di adeguarsi alle direttive impartite dalla ditta, rappresentano certamente elementi che depongono a favore di una sostanziale affinità tra agenzia e lavoro subordinato, affinità che lascia poi il posto ad una precisa distinzione quando si giunge ad esaminare le precise modalità di esecuzione della prestazione lavorativa in riferimento a ciascuna a figura.
Una conferma la si ritrova nella costruzione operata dalla dottrina della figura del <<lavoratore parasubordinato>>, quale soggetto intermedio tra il lavoratore autonomo e il lavoratore dipendente la cui creazione vorrebbe rappresentare lo stratagemma giuridico per rendere attuabile una espansione della disciplina lavoristica a quelle figure, come l’agente, che si collocano in una posizione non sempre dotata della più piena autonomia, come spesso accade quando l’agente non assume certamente quei caratteri di imprenditorialità che lo collocano all’interno della categoria dell’imprenditore normale.
A questo si deve poi aggiungere il fatto che lo stesso legislatore con l’introduzione del nuovo rito del lavoro e con la predisposizione di una disciplina in materia di trattamento di fine rapporto analoga, per certi aspetti, a quella del lavoro subordinato, ha con questo ulteriormente posto all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza il problema della effettiva autonomia della figura dell’agente.
Ciò ha quindi rappresentato l’inizio di una verifica diretta ad accertare se, al di là dell’autonomia legislativa riconosciuta all’agenzia e delle norme ad essa dedicate dal c.c., tale figura contrattuale potesse essere assimilata al rapporto di lavoro subordinato con la conseguente possibilità di rendergli applicabile le norme tipiche di tale ultima fattispecie contrattuale.
Per la verità la tendenza generale è stata però quella di mantenere inalterata la linea di demarcazione esistente tra tali figure contrattuali escludendosi così una generica applicazione all’agenzia di istituti tipici del lavoro subordinato.
L’estensione del rito speciale del lavoro (art. 409, n. 3 c.p.c.) ai rapporti di agenzia e ad altri rapporti di collaborazione concretantisi in una prestazione continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, se ha implicato una piu’ intensa tutela processuale di tali rapporti, connotati dalla collaborazione permanente e coordinata ad una impresa, non ha però comportato anche <<la estensione ad essi di tutti gli istituti sostanziali propri del rapporto di lavoro subordinato, salvi, peraltro, quelli previsti direttamente dallo stesso testo della legge n. 533 del 1973 (come il comma 3 dell’art. 429 c.p.c. sulla svalutazione monetaria) ed alcuni principi tipici del rapporto di lavoro subordinato, come quelli concernenti la congruita’ della retribuzione ed il diritto di sciopero>> (Cass. 12.4.85 n. 2433, GC, 1986, I,507; Cass. 3.11.80 n. 5860).
Quindi, in buona sostanza – proprio in virtù della strutturale differenza tra tali figure dotate di oggetto, causa e strutture diverse – la tendenza giurisprudenziale è stata ed è quella di non “confondere” i due istituti, ciascuno dotato di una propria autonomia e disciplina normativa, con l’esclusione di una estensione generalizzata di norme proprie del lavoro subordinato all’agenzia, pur ammettendosi, però, con riferimento ad alcuni aspetti peculiari una sorta di ampliamento della normativa lavoristica anche a tale rapporto.
Ampliamento, si ripete, peraltro limitato solo ad alcune norme tipiche del lavoro subordinato.
Un primo esempio è rappresentato dal recesso per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c.; norma, questa, espressamente prevista per il lavoro subordinato e riferibile all’intervento di quelle cause che non consentano la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro ma che, come testimonia una più che costante giurisprudenza, ha ottenuto una estensione anche al contratto di agenzia proprio sulla scorta di quella predominanza dell’elemento fiduciario il quale – come del resto accade nel lavoro subordinato – contraddistingue il rapporto agente / preponente.
Ed è proprio in virtù di ciò che in più occasioni si è giunti a tale applicazione non tralasciandosi, nel contempo, di rilevare che <<detta causa di risoluzione deve consistere in un fatto tale da porre in grave crisi l’elemento fiduciario delle parti, secondo un accertamento che e’ riservato al giudice del merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’, se congruamente e logicamente motivato>> (Cass. 15.11.97, n. 11376; Cass. 5.11.97, n. 10852).
Una riaffermazione di tale principio la si ritrova anche nella giurisprudenza più recente come emerge da una sentenza della S.C. del 2001 (15661/2001) la quale, peraltro, introduce un ulteriore elemento interpretativo che rafforza la bontà della tesi giurisprudenziale sino ad oggi seguita.
Con l’indicata pronucia la S.C. non manca infatti di sottolineare come la giusta causa di recesso dal rapporto di agenzia costituisce un’ipotesi normativa che è sì desumibile <<per analogia dalla norma sul licenziamento per giusta causa nel lavoro subordinato>> ma che trova una conferma anche nell’art. 1751 c.c., <<che, nel testo di cui all’art. 3 d.lg. 10 settembre 1991 n. 303, parla – ai fini dell’esclusione del diritto all’indennità di cessazione del rapporto – di “inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto>>.
Con riferimento ad un altro istituto, di natura squisitamente lavoristica, analoghe considerazioni sono poi quelle che hanno portato una parte della giurisprudenza ad estendere all’agenzia il principio della prestazione di fatto di cui all’artt. 2126 c.c., giungendosi così a salvaguardare il diritto dell’agente abusivo alla provvigione in relazione all’attività svolta.
Presupposto di tale orientamento, il quale si concilia con l’evidente finalità di conservare gli atti compiuti dall’agente (e perciò mantenere inalterato il suo diritto al compenso e alle relative indennità) nel periodo in cui il rapporto si è effettivamente svolto pur essendo esso peraltro inficiato da nullità, è quello che l’art. 2126 c.c. non contiene una norma di carattere eccezionale rispetto al principio quod nullum est nullum producit effectum (se non limitatamente agli effetti diversi da quelli restitutori) e pertanto può ben essere applicato, in via analogica, al lavoro <<parasubordinato>>, semprechè la nullità non derivi da un’illiceità della causa o dell’oggetto (v. Pret. Torino 2.7.96, GPiem, 1997, 449; Cass. 23.7.87 n. 4681, GI, 1988, I,1,60).
In altri casi, invece, l’indiscutibile presenza di affinità tra l’agente ed il lavoratore subordinato non è stata ritenuta criterio sufficiente a permettere una estensione all’agenzia di istituti propri del rapporto di lavoro subordinato.
Le ragioni a sostegno di tale orientamento si possono riassumere nella diversa ratio che contraddistingue ciascuna di tali figure.
Come viene infatti osservato in dottrina (Miscione 1985, 277), la nozione legislativa fornita dall’art. 1742 c.c. attribuisce all’agenzia una propria individualità giuridica che la rende soggetta ad una precisa disciplina normativa.
Un’applicazione analogica del diritto del lavoro non terrebbe pertanto conto della sostanziale divergenza esistente tra tali figure contrattuali, situate su piani tra loro contrapposti.
E ciò risulta con ancor maggiore evidenza se si ha riguardo alla diversa natura delle norme che regolamentano ciascuna di tali figure contrattuali.
Mentre il rapporto di lavoro subordinato è caratterizzato da un sistema di generale inderogabilità il quale impone alle parti, sempre e comunque, lo schema legale dettato dal codice, il contratto di agenzia è invece dominato da una libera disponibilità del tipo contrattuale la quale attribuisce agli stessi contraenti la possibilità di concordare clausole nuove fino a modificare la figura prefissata dal legislatore.
La mancanza nel codice civile di una qualunque norma inderogabile, la quale imponga a pena di invalidità un determinato contenuto, permette quindi alla stessa agenzia, contrariamente a quanto accede per il lavoro subordinato, di assumere infinite varianti, da valutare solo in base al principio della meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c..
E’ perciò in conseguenza della rigorosa disciplina legislativa che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato che diviene teoricamente impossibile attuare un’applicazione analogica all’agenzia di istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato.
Il legame che s’instaura tra datore di lavoro e prestatore non può quindi conoscere forme intermedie di tipizzazione: o esso è dotato dei caratteri propri del lavoro subordinato, e così sottostare alla disciplina per esso prevista, oppure è dotato dei caratteri propri dell’agenzia e quindi risultare regolamentato dalle norme per questo previste o, comunque, da quelle che sono le disposizioni proprie di contratti ricadenti nell’ambito del lavoro autonomo, qualora il rapporto medesimo risulti improntato su caratteri atipici. Nè sembra che a diverse conclusioni possa giungersi eccependo la sporadica applicazione all’agenzia di istituti propri del lavoro subordinato quali il riconoscimento della prestazione di fatto (art. 2126 c.c.) e il recesso per giusta causa (art. 2119 c.c.).
Come viene infatti osservato in dottrina, tali casi non costituiscono sintomo di un’ applicazione analogica all’agenzia di istituti propri del lavoro subordinato, in quanto l’art. 2119 c.c., sul recesso per giusta causa, contenendo una norma di portata generale, è suscettibile di applicazione a tutti i casi di recesso da rapporti continuativi, mentre l’art. 2126 c.c., sulla prestazione di fatto, trova applicazione <<non per analogia (…) ma diretta rispetto al cosiddetto agente abusivo>>.
Ed è sulla scorta di tali rilievi che risultano perciò pienamente comprensibili tutte quelle pronunce con le quali, in relazione a singoli istituti, si è ripetutamente affermata l’inapplicabilità all’agenzia delle norme dettate per il lavoro subordinato quali, ad esempio, l’art. 2097 c.c.(sulla durata del contratto di lavoro, ora abrogato dalla legge 18.4.62, n.230) (così Cass. 20.5.54, n.1616) e l’art. 2116 c.c., sull’automatismo delle prestazioni previdenziali.
Come anche si comprende appieno, sempre sul rilievo di una sostanziale differenza tra agenzia a lavoro subordinato, quella giurisprudenza che ha altresì ritenuto inapplicabile all’agenzia il principio della giusta retribuzione introdotto dall’art. 36 cost. (v. Cass. 17.11.94, n. 9705) la quale ha affermato: <<Con riguardo a liquidazione coatta amministrativa di compagnia di assicurazione, il trattamento di favore riconosciuto al credito del lavoratore dipendente non si estende ai crediti derivanti dai rapporti di agenzia, per i quali opera l’originaria disciplina della legge fallimentare, non essendo riferibili agli agenti, in quanto lavoratori autonomi, i parametri costituzionali di cui agli art. 3 e 36 cost.>>; principio, questo, ribadito più di recente dalla Cassazione con la pronuncia 12.12.2001, n.15661)
Così pure quella giurisprudenza di Cassazione che ha ritenuto non estendibile all’agenzia il principio della nullità delle modifiche in peius dei patti contrattuali vigente per il lavoro subordinato; ciò in quanto, si è osservato, l’assoggettamento delle controversie nascenti dal contratto di agenzia alle medesime norme processuali dettate per quelle derivanti dal contratto di lavoro subordinato <<non comporta alcuna equiparazione tra i due contratti con la conseguenza che il principio della nullita’ delle modifiche “in peius” dei patti contrattuali valido per il contratto di lavoro non e’ applicabile a quello di agenzia>> (Cass. 3.11.80 n. 5860).
Nonché quella giurisprudenza che ha ritenuto applicabile all’agenzia la norma di cui all’art. 2113 c.c. sulle rinunzie e transazioni (v. Cass. 4.2.93, n. 1359 secondo cui <<il rapporto di agenzia è soggetto al regime delle transazioni e rinunzie vigente per il rapporto di lavoro subordinato ed opera anche relativamente ad esso il principio per cui le generiche quietanze a saldo e transazione di ogni avere non hanno sostanza transattiva, nè sono dichiarazioni di una volontà negoziale o abdicativa di specifici diritti determinati od obiettivamente determinabili, ma unicamente dichiarazioni di scienza o di opinioni, e cioè del convincimento dell’interessato di essere stato soddisfatto dei suoi diritti, e quindi non ostative di una successiva richiesta di tutela giurisdizionale di ulteriori diritti non ancora soddisfatti>>).
Con riferimento poi a precisi istituti introdotti da leggi speciali vanno poi ricordate quelle sentenze che hanno escluso l’applicabilità all’agenzia della disciplina limitativa dei rapporti a termine introdotta con la l. 18.4.62, n. 230.
Un esempio è rappresentato da una sentenza della cassazione del ’92 secondo la quale <<la speciale normativa che limita la possibilita’ di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato non opera con riferimento al rapporto di agenzia. E’ pertanto legittima la clausola di tacita rinnovazione “di anno in anno salvo disdetta” del rapporto di agenzia, senza che dalla reiterata rinnovazione del contratto a termine possa trarsi la conseguenza di un unico contratto di agenzia a tempo indeterminato; nell’ipotesi di rinnovo automatico del contratto per mancato invio della disdetta e di successivo recesso ingiustificato ante tempus del preponente dal rapporto, l’agente ha diritto non all’indennita’ sostitutiva del preavviso, ma al risarcimento del danno derivante da detto recesso>> (Cass.17.6.92 n. 7426).
Ad uguali conclusioni (nel senso di una non estendibilità del diritto del lavoro all’agenzia) si poi giunti anche con riferimento allo speciale procedimento previsto dall’art.28 dello Statuto dei lavoratori (l. 300/70) per la repressione della condotta antisindacale.
Nell’occasione si è infatti stabilito che la disciplina del rapporto di agenzia, cosi’ come delineata dalle norme del codice civile e dai vari accordi collettivi, <<e’ strutturalmente incompatibile con quella prevista dallo statuto dei lavoratori l. n. 300 del 1970, (salva ogni estensione legislativa o contrattuale), diretto esclusivamente a disciplinare i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti e non gia’ tra preponenti ed agenti imprenditori o lavoratori autonomi>> e pertanto <<non e’ consentita l’applicazione analogica neppure parzialmente e specificamente e’ esclusa la tutela prevista dall’art. 28 stessa legge>> (Pret. Venezia 27.2.80, RCP, 1980, 257).
Sempre nell’ambito di una generale tendenza ad escludere un’applicazione analogica generalizzata all’agenzia di istituti propri del diritto del lavoro va poi ricordata un’altra pronuncia giurisprudenziale con la quale si è altresì affermato il principio della non estendibilità all’agente della disciplina collettiva prevista per i lavoratori subordinati (nel caso di specie era infatti sorta questione se l’agente potesse godere del diritto alla stessa retribuzione prevista per i piazzisti dipendenti da azienda commerciali) (<<La disciplina collettiva riguardante una specifica categoria di lavoratori subordinati non puo’ trovare applicazione per una diversa categoria di lavoratori parasubordinati ostandovi il principio di autodefinizione delle categorie contrattuali, espressione della liberta’ sindacale della parte stipulante (art. 39, comma 1 cost.) >> (Cass. 8.2.86 n. 815).