Efficacia liberatoria del pagamento eseguito all’agente
Il pagamento eseguito all’agente, autorizzato a riscuotere i crediti del preponente ai sensi dell’art. 1744 c.c., deve considerarsi pienamente valido ed efficace; pertanto l’agente ha con ciò la capacità di liberare il debitore ed anche di consentirgli la cancellazione dell’eventuale ipoteca ai sensi dell’art. 2878, n.3 e 2883 c.c., come pure di determinare gli effetti della mora credendi.
Tale ipotesi ricade infatti sotto la previsione normativa dell’art. 1188, 1° comma, c.c. che ha riguardo al caso in cui una terza persona figura come <<procuratore all’incasso>> o viene <<indicata>> dal creditore quale destinataria della prestazione.
Alla medesima conclusione deve giungersi anche nella diversa ipotesi in cui il terzo paghi all’agente nell’erronea convinzione dell’esistenza, in capo a quest’ultimo, del potere di riscossione.
L’art. 1189, comma 1°, c.c., considera infatti ugualmente liberato dall’obbligazione il debitore che <<esegue il pagamento a chi pare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche>>, purchè provi di essere stato in buona fede.
Al fine di un’effettiva liberazione del debitore si rivela quindi determinante verificare, attraverso una valutazione condotta in relazione ad ogni singolo caso e che comunque deve tenere conto della <<prassi usuale dei commercianti e del comportamento delle parti nei precedenti rapporti tra loro intercorsi>>(Cass.14.3.77, n.1024), se effettivamente il comportamento adottato dall’agente sia stato tale da ingenerare nel debitore un ragionevole affidamento circa la legittimazione in ordine all’attività di incasso dallo stesso esercitata.
Per quanto invece riguarda i rapporti interni tra preponente ed agente, le riscossioni non autorizzate, costituendo una evidente violazione del dovere di diligenza cui l’agente deve sottostare, legittimano il recesso senza preavviso da parte della ditta preponente, salvo poi eventuali ulteriori conseguenze a carico dello stesso agente, qualora questi trattenga indebitamente gli incassi effettuati presso la clientela.
In tale caso si profila infatti un’ipotesi di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art.61, n.11, c.p. (In giurisprudenza si veda Cass.pen.14.11.60; Cass.pen.9.10.67, in Giust.pen., 1968, II, p.582; Cass.pen.4.2.85, in Riv.pen., 1986, p.299) la quale deve ritenersi sussistente anche qualora l’agente trattenga tali somme nella convinzione di una progressiva compensazione del suo debito con il credito da questi vantato nei confronti della ditta preponente.
Perchè infatti possa ritenersi pienamente realizzabile una compensazione tra il suo debito nei confronti del preponente, consistente nell’immediata consegna delle somme incassate, ed il suo credito, relativo alle provvigioni, è necessario che dette provvigioni siano maturate, e cioè siano riferibili ad affari regolarmente eseguiti, e sia decorsa la scadenza concordata.
Solo in tale ipotesi è quindi pienamente legittimo il pagamento, da parte dell’agente, dell’eventuale eccedenza senza che si possa configurare a suo carico una responsabilità penale nè tantomeno una violazione del dovere di diligenza e, più in particolare, del dovere di muoversi sempre e comunque nel rispetto delle istruzioni provenienti dal preponente ex art. 1746 c.c.
Ciò, ovviamente, semprechè non sia espressamente convenuta (come molto spesso accade) il divieto di compensazione in capo all’agente.