Procacciatore e diritto al compenso – Cass. ord. 4.11.2015, n. 22558

Con ordinanza in data 4.11.2015 la S.C. ha sollecitato un intervento delle Sezioni Unite in punto alla questione se la norma che rendeva nulla la pattuizione di una provvigione se il soggetto che si poneva come mediatore – e quindi in posizione di terzietà tra le parti messe in contatto – non fosse stato iscritto nell’elenco di cui all’art. 2 della legge n. 39/1989, si possa applicare anche ai c.d. procacciatori di affari (o rientranti nella categoria dei mediatori atipici).

Qui di seguito le argomentazioni a sostegno.

IV – Osserva al riguardo il Collegio che sull’argomento si riscontrano due orientamenti divergenti nella giurisprudenza della Corte: da un lato si sostiene che la disciplina di cui alla legge 39/1989 – e, in tempi più recenti, quella ricavabile dal decreto legislativo n 59 del 2010 (c.d. decreto Bersani bis) – non possa essere applicata alla mediazione atipica, con particolar riferimento al procacciamento di affari, per la ontologica differenza tra le due figure, rinvenuta nella posizione di terzietà che assume il mediatore c.d. tipico, a differenza del rapporto che collega il procacciatore al cliente o preponente (vedi Cass. 19066/2006; Cass. 7332/2009); dall’altro si afferma che, pur ferma restando tale diversità, sarebbe pur sempre identificabile un nucleo comune alle due figure, rappresentato dalla interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto per la conclusione di un affare (Cass. 4422/2009; Cass. 16147/2010 – citata dalla sentenza di secondo grado-; Cass. 15473/2011; Cass. 762/2014), tale dunque da spiegare la applicabilità della sanzione della perdita al diritto alla provvigione. IV.a. – Ad avviso del Collegio le suddette opzioni ermeneutiche non sono facilmente risolvibili in termini di scelta tra l’una e l’altra in quanto tendono a soddisfare finalità diverse, parimenti apprezzabili: il più risalente indirizzo appare sostanzialmente diretto a preservare la stretta interpretazione del dato normativo, al non dichiarato ma evidente fine di non lasciar senza compenso un’attività che pur sempre è stata svolta, quanto meno a beneficio del preponente; il più recente approdo interpretativo tende invece ad attrarre nell’orbita della mediazione tipica anche figure ad essa eccentriche, per combattere la piaga dell’abusivismo, soprattutto da parte di persone moralmente e professionalmente inidonee (vedi segnatamente Cass. 13184/2007). IV.a.1 – La individuazione della prevalenza degli interessi involti – e quindi interessati dall’intervento normativo – nelle ipotesi di procacciamento di affari incide dunque sull’applicazione analogica della disciplina di settore, con particolar riferimento alla tematica della invalidità del contratto di mediazione stipulato con un mediatore abusivo, che impedirebbe il sorgere del diritto al compenso, atteso che i propugnatori dell’esistenza di essa, ne trovano il fondamento nell’incapacità giuridica dell’intermediario o nella contrarietà del suo agire rispetto alla norma imperativa; secondo altro orientamento, invece, la mancata iscrizione farebbe soltanto venire meno il diritto a percepire la provvigione, mentre – sotto il vigore della legge 39/1989 – la nullità del contratto si avrebbe solo ex art. 8, comma 2, l. n. 39, cit., nei casi di recidiva e conseguente applicazione dell’art. 2231 c.c.. IV.a.2 – L’auspicato intervento regolatore delle Sezioni Unite consentirebbe, ad avviso del Collegio, di verificare se nella sistematica della legge prevalga l’uno o l’altro degli indicati profili, con ricaduta sulla sussunzione o meno della figura del procacciatore di affari sotto la disciplina tipica del mediatore, in termini soprattutto contenitivi della libertà di azione del primo di non sottostare alle prescrizioni previste per il secondo. IV.a.3 – Né va sottostimato il fatto che l’esito che interpretazione nomofilattica che si sollecita alle Sezioni Unite, potrebbe altresì sciogliere i dubbi circa il pericolo di compressione del diritto del (libero) procacciatore di affari ad ottenere il compenso – come visto, anche solo uno latere – per il lavoro svolto, quale affermato in sede Eurounitaria per l’agente di commercio rispetto al principio della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi – ex direttiva del Consiglio (CEE) n. 86/653/1986 – non apparendo del tutto appagante, proprio con riferimento alla contiguità delle “cause in concreto” realizzate nei rispettivi ambiti negoziali (del mediatore e del procacciatore di affari), l’interpretazione di legittimità che, avuto riguardo alla sanzione della nullità (o della inidoneità a produrre effetti sul sinallagma) del negozio posto in essere dal soggetto “agente in mediazione” sottolinea l’inesistenza di un contrasto con la citata Direttiva, argomentando che la stessa non osterebbe a che una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in apposito albo, non si rivolgerebbe al mediatore, il quale agisce in posizione di terzietà rispetto ai contraenti posti in contatto, a tale stregua differenziandosi dall’agente di commercio, che attua invece una collaborazione abituale e professionale con altro imprenditore. (Cass. 13184/2007; Cass. 22859/2007; Cass. 7332/2009). IV.a.4 – Va da sé – e questo, ad avviso del Collegio, costituisce un ulteriore punto di frizione tra le due interpretazioni, forse foriero di una prospettabile “terza via” – che l’ambito specifico della direttiva Eurounitaria appena indicata (affari immobiliari) potrebbe lasciare aperta una divergente interpretazione sia in ambito sovranazionale sia in quello nazionale, laddove, come nel campo che ne occupa, si verta in tema di servizi di mediazione per la vendita di aziende o di elementi strutturali delle medesime (i macchinali della cartiera fallita, nello specifico). IV.a.5 – L’ulteriore argomento per sollecitare un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite viene rinvenuto dal Collegio nel progressivo stabilizzarsi, in sede di legittimità, di un indirizzo che nega, al mediatore non iscritto nei ruoli (e quindi, per la ricordata estensione interpretativa, anche al procacciatore di affari) – l’azione di ingiustificato arricchimento, sulla base della ritenuta natura sanzionatoria della previsione di cui all’art. 8 della legge 39/1989 (vedi Cass. 4635/2002; Cass. 10205/2011), soluzione questa conforme all’applicazione dei principi sul riscontro dei necessari presupposti dell’azione ex art. 2041 cod. civ. ma foriera di distorsioni applicative.