Rifiuto sistematico del preponente a concludere affari

Già sotto il vigore dell’ art. 1748 c.c., precedente testo, si era posta la questione della legittimità di un rifiuto sistematico del preponente alla conclusione degli affari promossi dall’agente e della conseguente permanenza del diritto, in capo all’agente, alla relativa provvigione.

Questione che si presenta, oggi, ancora più attuale proprio in virtù della modifica dell’ art. 1748 c.c. che collega il diritto dell’agente alla provvigione alla mera conclusione dell’affare.

Il rifiuto sistematico e generalizzato del preponente di dar luogo alla conclusione e successiva esecuzione degli affari promossi dall’agente viene ritenuto dalla giurisprudenza rilevante ai fini del diritto alla provvigione.

Se infatti indubbia è la facoltà del preponente di contrarre, potendo egli, in armonia con il principio di autonomia contrattuale, ritenersi libero di concludere o meno un determinato affare, anche se questo è proposto dall’agente, dall’altro tale libertà non può spingersi oltre ragionevoli limiti.

Il diritto del preponente di respingere e rifiutare le proposte contrattuali dell’agente non può, quindi, sfociare nell’arbitrio più assoluto, fino ad assumere i contorni di un rifiuto sistematico ed ingiustificato, in quanto ciò si risolverebbe in una palese violazione del dovere di correttezza e lealtà imposto dall’art. 1375 c.c. oltre che a snaturare la funzione tipica dell’agenzia che è appunto quella di consentire al preponente la conclusione di quegli affari promossi dall’agente.

Come potrebbe infatti coesistere un rigiuto ingiustificato e sistematico a concludere affari con la definizione che del contratto di agenzia viene prevista dall’ art. 1742 c.c.? E, soprattutto, come potrebbe affermarsi la sussistenza in capo al preponente di una tale illimitata facoltà senza con questo non ledere il diritto principale dell’agente alle provvigioni, quela corrispettivo (omnicomprensivo) per l’attività promozionale da questi svolta?

Ecco quindi che quello del preponente è un potere non illimitato ma vincolato rispetto ai fini da raggiungere, che sono quelli che il preponente medesimo si propone con la sua attività.

Potere che, comunque, deve svolgersi sempre e comunque nel rispetto della causalità che domina il rapporto di agenzia e che vede l’ agente quale soggetto retribuito sugli affari dallo stesso promossi e conclusi dal preponente.

La ripetitività nella non accettazione degli affari promossi dall’agente e l’assenza di una precisa giustificazione ( a sostengo della mancata conclusione dell’affare) rappresentano, dunque, i presupposti perché l’agente, di fronte al rifiuto sistematico del preponente di concludere affari da lui promossi possa ugualmente vantare il diritto alle relative provvigioni.

Ma se ciò è indubbio, in quanto il realizzarsi di una tale eventualità contrasterebbe, come già detto, con la struttura dell’agenzia medesima, quella che non si presenta certa è l’individuazione del limite oltre il quale può parlarsi di sistematicità. Se infatti è fuori discussione che il rifiuto ingiustificato del preponente di concludere “tutti” gli affari promossi dall’agente rappresenta un comportamento illecito e come tale presupposto per il riconoscimento di una sua responsabilità per inadempimento (con conseguente diritto dell’agente al risarcimento del danno che sarà coincidente con le provvigioni non conseguite), non altrettanto chiaro è quando si tratti di un rifiuto sistematico.

Il ricorso alla sistematicità, quale criterio per distinguere il rifuto lecito da quello illecito deve, quindi, andare collegato con un ulteriore criterio, quello della buona fede nell’esecuzione del contratto prevista dall’art. 1375 c.c.

Qualunque iniziativa economica del preponente deve essere sempre dettata da obiettive esigenze aziendali onde evitare di incorrere in una violazione del dovere di buona fede cui deve essere improntata l’esecuzioine di qualsiasi contratto.