Lavoro subordinato e agenzia
Il prevalente carattere autonomistico cui risulta improntata l’attività dell’agente di commercio ( e dal quale consegue la sua stessa individuazione quale imprenditore commerciale) costituisce il criterio guida sul quale si fonda la distinzione tra agenzia e lavoro subordinato, dove la prestazione di energie lavorative si attua in un regime di subordinazione nell’ambito di un’organizzazione il cui rischio e risultato ricadono esclusivamente in capo al datore di lavoro.
Il tratto caratteristico del contratto di agenzia è infatti costituito proprio dall’ autonomia assoluta dell’esercizio professionale rispetto all’attività del preponente e dall’assunzione del rischio economico inerente alla propria attività da parte dell’agente.
L’attività di costui si svolge, infatti, attraverso un’attività organizzata ed indipendente posta in essere dallo stesso agente per realizzare quello stabile rapporto di collaborazione in cui si sostanzia la finalità obiettiva per la quale il negozio di agenzia ha avuto vita, risultando quindi evidente che oggetto della prestazione è un risultato economico che rientra nella sfera economico giuridica dell’agente
In ciò essenzialmente si distingue dal contratto di lavoro subordinato che ha per oggetto le energie lavorative che il collaboratore pone a disposizione dell’imprenditore per cui il risultato ed il rischio dell’attività rientrano esclusivamente nella sfera dell’imprenditore stesso ed il collaboratore versa in una situazione di dipendenza economica.
E quindi, mentre nel rapporto di lavoro subordinato sussiste una <<continuativa disponibilità’ del lavoratore alle determinazione del datore di lavoro, il quale puo’ emanare ordini veri e propri, che vincolano il prestatore d’opera, sottoponendolo al potere disciplinare ed organizzativo in senso stretto dell’imprenditore medesimo,>> nel rapporto di agenzia il committente <<puo’ esercitare controlli e vigilanza al fine di accertare la corrispondenza del risultato dell’attivita’ dell’agente alle pattuizioni convenute e pretendere la coordinazione, per il tempo ed il luogo di esecuzione del contratto, con le sue necessita’>> (Cass. 5.12.88, n. 6616; v. anche Cass.13.12.82 n. 6857; Cass. 10.1.84, n.183; Cass. 2.2.88, n.984).
Criterio, questo, seguito dalla giurisprudenza in numerose occasioni.
Così, a titolo puramente esemplificativo, con riferimento al caso specifico di un “ispettore di vendite” di autoveicoli, le cui mansioni consistevano nell’organizzare la rete dei concessionari, si è ritenuto questi rivestire la qualifica di lavoratore autonomo ex art. 2222, 1742 e 1743 c.c., in quanto prestava servizio presso la sede dell’azienda (ove sin recava saltuariamente), non era assoggettato a sanzioni disciplinari, non era sottoposto a vincoli di orario, aveva libertà di itinerari, ampio margine di scelta della clientela, sopportava le spese per i viaggi, le trasferte, la corrispondenza e l’organizzazione di un proprio ufficio.
L’indagine volta ad accertare se effettivamente, al di là delle formule contrattuali adottate dalle parti, un agente di commercio sia tale (e quindi dotato di quel carattere autonomistico), presuppone, dunque, la disamina delle concrete modalità di esternazione dell’attività da questi svolta.
Modalità che devono in ogni caso mostrarsi svincolate da quel carattere direttivo e disciplinare cui risulta assoggettato il lavoratore subordinato (al datore di lavoro) e che si riassumono nell’assoggettamento dell’agente al rischio dell’attività.
Dunque fondamentale è l’indagine incentrata soprattutto sulla ricerca di una effettiva subordinazione dell’agente al preponente.
Solo l’accertamento di ciò comporta l’inevitabile assoggettamento del pseudo agente di commercio alla relativa disciplina del lavoro subordinato.
Connotato essenziale del comportamento dedotto in obbligazione dal prestatore di lavoro dipendente (e perciò carattere distintivo tra l’agenzia e il lavoro subordinato) è infatti proprio la subordinazione.
Essa consiste, propriamente, nel particolare rapporto che si instaura tra il lavoratore subordinato e il datore di lavoro, in virtù del quale quest’ultimo dirige l’attività del primo decidendo così, in concreto, i possibili modi di svolgimento della prestazione.
In quanto giuridicamente rilevante ai fini della delimitazione della fattispecie e quindi non semplicemente indicativa di una generica situazione di soggezione in senso economico, la subordinazione qualifica dunque l’attività di lavoro dipendente come attività posta a disposizione del datore di lavoro al quale compete di determinarne le modalità di attuazione, sia esercitandolo direttamente sia attraverso altri dipendenti collocati nell’impresa in una posizione gerarchicamente superiore, scolpendo così una sicura delimitazione della figura del contratto di lavoro rispetto ai diversi tipi di contratto di lavoro autonomo, come l’agenzia.
Ma, se ciò è indubbio, attuale permane però la questione di quando e in quali casi debbano ravvisarsi gli estremi della subordinazione.
E ancora una volta prezioso si rivela il contributo della giurisprudenza.
Una prima sentenza significativa in tal senso può essere certamente la 6171/88 secondo la quale, ai fini della distinzione tra rapporto di agenzia e rapporto di lavoro subordinato, il vincolo della subordinazione deve essere desunto da un complesso di elementi qualificanti così elencati:
(1) oggetto della prestazione;
(2) termine tecnico di assunzione usato al momento della costituzione del rapporto;
(3) garanzia di una retribuzione minima correlata al tempo delle prestazioni;
(4) riconoscimento di spese di rimborso;
(5) esistenza di precise, continue e inderogabili disposizioni delle modalita’ delle prestazioni quali: (a) obbligo di relazioni; (b) fissazione del numero di esse; (c) insindacabilita’ di talune delle disposizioni impartite; (d) presenza di ordini su ferie e permessi; (e) disposizioni relative ad incombenze diverse dall’oggetto del rapporto; (f) determinazione delle modalita’ delle visite.
A questa si aggiungono, poi, altre pronunce che, partendo dal caso di specie esaminato, non mancano di sottolineare, con ancora maggiore precisione cosa, dal lato pratico, debba intendersi per subordinazione.
Si è così affermato che <<gli elementi fondamentali che distinguono il rapporto impiegatizio subordinato – che avvince il rappresentante o viaggiatore di commercio (o piazzista) all’imprenditore – dai rapporti autonomi di rappresentanza, agenzia e simili sono costituiti dall’obbligo di visitare quotidianamente le zone stabilite dall’imprenditore; dalla mancanza di un apprezzabile margine di scelta della clientela; dall’itinerario prestabilito dall’imprenditore stesso; dal rischio a carico del datore di lavoro; dalla mancanza di un proprio ufficio o di una propria organizzazione e dall’uso di quella del datore di lavoro; dalla prestazione esclusiva, o almeno prevalente, della propria attivita’ lavorativa alle dipendenze dell’imprenditore. L’esistenza di istruzione e l’obbligo correlativo di assecondarle non e’ invece, di per se’, elemento decisivo per la qualificazione del rapporto concernente un lavoratore la cui attivita’ si svolga in modo autonomo nei confronti della ditta preponente>> (Cass. 23.1.84 n. 573).
E, in altra occasione si è affermato che <<ai fini della distinzione tra contratto di agenzia e rapporto lavoro subordinato sono significativi nel senso della individuazione del carattere della subordinazione i seguenti elementi: lo sviluppo di carriera stabilito dalla direzione; la disponibilita’ di locali di pertinenza della societa’, nei quali operavano sia i dirigenti della societa’ che gli agenti per l’evasione di pratiche amministrative; la prescritta presenza in ufficio alle 8 e 30 per ricevere le istruzioni, riguardanti assegnazione di zone, ripartizione di compiti, relazione del lavoro svolto e presentazione di rapporti; l’uso esclusivo di carta intestata della societa’; l’esercizio del potere disciplinare da parte di quest’ultima; l’assenza di organizzazione facente capo dagli agenti, che non potevano spendere il proprio nome; la dipendenza piramidale dal dirigente della societa’; il sistema di retribuzione, che, per gli agenti con qualifica di “area manager” in giu’, era data dalle provvigioni piu’ una quota della produzione dei componenti del gruppo o dei gruppi e che per tanto, annullava il rischio, essendo il compenso connesso alla produttivita’ generale>>(Cass. 26.2.88, n.2063)