Buona fede dell’agente
Nella sua originaria formulazione l’art. 1746 c.c. prevedeva che l’agente dovesse adempiere l’incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute, fornendo al preponente tutte quelle informazioni riguardanti le condizioni di mercato nella zona assegnatagli nonchè ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari.
Obblighi, questi, che rappresentavano (e rappresentano tuttora) una ulteriore manifestazione della natura stessa del contratto di agenzia, quale tipico contratto di distribuzione diretto a permettere l’acquisizione in capo al preponente di “ordini” da parte della clientela e, conseguentemente, la conclusione di affari.
Interesse reciproco delle parti contraenti è infatti quello che l’agente svolga l’attività di promozione contrattuale nel rispetto delle istruzioni ricevute dal preponente adoperandosi, nel contempo, per fornire a quest’ultimo tutte le informazioni e notizie che possono rivelarsi utili a permettergli una esatta conoscenza delle reali prospettive di vendita e dei mezzi occorrenti per una efficiente introduzione dei prodotti presso la clientela.
Al tempo stesso la norma (nella sua originaria formulazione) imponeva all’agente di osservare gli obblighi che incombono al commissionario, in quanto compatibili con la natura del contratto di agenzia.
Tale stato di cose è rimasto sostanzialmente immutato anche a seguito del recente intervento del d.leg.vo 65/99, il quale, se da un lato ha mantenuto gli originari obblighi dell’agente, dall’altro ha introdotto un ulteriore obbligo, rappresentato dal dovere posto a suo carico <<di tutelare gli interessi del preponente>> e di <<agire con lealtà e buona fede>> ed ha sancito, con una norma di chiusura, la nullità di <<ogni patto contrario>>.
Si tratta di innovazioni che trovano tutte il proprio fondamento nella direttiva comunitaria (art. 3.1, art. 5), di cui l’indicato decreto legislativo ne costituisce espressione, ma che, con particolare riguardo all’obbligo imposto all’agente di comportarsi con lealtà e buona fede, nulla aggiungono a quanto già prevede l’art.1175 c.c., laddove stabilisce che <<il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza>>.
Principio, questo, applicato in più occasioni dalla giurisprudenza, la quale non ha mancato di evidenziare come l’agente, nello svolgimento dell’incarico, debba uniformarsi alla regola della buona fede e, come si è visto, a quella della diligenza.